Dopo aver recuperato, in Siberia, un prototipo di microchip sovietico, copia di una tecnologia occidentale di importanza strategica, James Bond indaga sulla multinazionale Zorin Industries, manufattrice del microprocessore. L’industriale Max Zorin e la sua statuaria compagna May Day sono anche sospettati di manipolare le gare ippiche nelle quali gareggiano i purosangue dell’imprenditore. Il detective privato incaricato dell’indagine, Achille Aubergine, muore sotto gli occhi di Bond; dopo un inseguimento a perdifiato per le strade della capitale francese, il suo assassino riesce a scappare, paracadutandosi dalla Torre Eiffel…
Giunti all’episodio numero 14, la macchina di produzione Bond era ormai un affare di famiglia: letteralmente, ma non solo.
Letteralmente, perché uno degli sceneggiatori era anche il figliastro del boss: Michael G. Wilson, affiancato, come per i due film precedenti, da Richard Maibaum, questa volta aveva salito un gradino in più, e sarebbe stato accreditato come vero e proprio produttore, allo stesso livello del patrigno Albert R. Broccoli. Dalle retrovie, si affacciava piano piano anche la stella nascente Barbara Broccoli, ora impiegata come aiuto regista.
Un menage familiare anche figurativamente, visto che i compiti principali erano affidati allo stesso team da ormai tre episodi: il regista John Glen (che nel frattempo aveva anche sposato Janine King, segretaria di Broccoli) era persona più tecnica che artistica, e, sempre grato per la possibilità che gli era stata offerta, faceva onestamente il suo lavoro e, grazie alla sua esperienza da Editor, non sprecava pellicola in scene irrilevanti; Peter Lamont, nel ruolo di Production designer, faceva del suo meglio per non far rimpiangere i fasti di Ken Adam (e l’anno precedente si era tolto anche lo sfizio di lavorare allo spoof Top Secret!); Alan Hume, Direttore della Fotografia, alternava i film di James Bond con altri incarichi, come per esempio una piccola storia intitolata Il ritorno dello Jedi.
Lavoravano bene insieme, tanto che nemmeno l’attore principale faceva più il prezioso: Roger Moore firmò senza tante storie per 007 – Bersaglio Mobile (A View to a Kill), probabilmente ringraziando in cuor suo che gli fosse stata data un’ulteriore opportunità di interpretare il ruolo di 007. La stampa si lamentava ormai da qualche anno che un Bond ultracinquantenne non era più tanto credibile – e l’attore stesso cominciava a sentirsi a disagio per il fatto che non solo le sue partner sullo schermo erano più giovani di lui, ma lo erano perfino le loro madri.
Forse consci del rischio di perdere, per queste ragioni anagrafiche, il pubblico giovanile, i produttori decisero di approcciare per i ruoli dei villain due pop star che avevano dimostrato doti recitative; un approccio simile era stato tentato, con risultati discutibili, per l’ultimo film di Sean Connery, Diamonds are Forever, ma in questo caso le scelte erano di ben più alto profilo: per la parte di May Day, prima donna ‘braccio destro’ del cattivo (se escludiamo Rosa Klebb), fu scritturata l’ineffabile Grace Jones, modella giamaicana dal fisico androgino, dal look altamente ‘teatrale’ e dalla voce profonda, salita alla ribalta per le cover di La Vie en Rose di Edith Piaf e Libertango (I’ve Seen that Face Before) di Astor Piazzolla. Jones si era fatta notare al cinema l’anno precedente, con Arnold Schwarzenegger in Conan il distruttore.
Il ruolo di Max Zorin venne offerto prima a David Bowie, che aveva da poco interpretato Furyo, e poi a Sting, fresco del Dune di David Lynch. Alla fine si optò per una scelta più tradizionale, assegnando la parte al Premio Oscar Christopher Walken: tradizionale per modo di dire, dato che Walken diede libero sfogo a tutto il suo istrionismo, aiutato da uno script che lo rendeva il primo scienziato ufficialmente pazzo della serie.
Con i suoi capelli biondo platino e la sua gioiosa propensione alla carneficina, Walken entrò nel novero dei villain memorabili di 007, un club troppo esclusivo che non accettava nuovi membri, forse, da un decennio: un ibrido dei cattivi nati dalla Guerra Fredda antagonisti nei Bond dei primi anni ’80 e degli industriali con manie di grandezza dei Bond anni ’60 e ’70, Zorin affondava le sue radici addirittura nella minaccia nazista, forse un’altra strizzata d’occhio al ‘nuovo Bond’ che era ormai emerso nella figura di Indiana Jones.
Bersaglio Mobile soffre per via di quella stessa familiarità che rendeva unito il team creativo e produttivo, non disposto ad affrontare rischi, convinto (forse non a torto) che il pubblico volesse qualcosa che non si discostava dalla formula magica dei precedenti successi. Ecco quindi l’inevitabile coreografia d’azione sulla neve, l’inevitabile inseguimento automobilistico e l’imprescindibile stunt aereo/paracadutistica. Anche i team degli stuntman erano ormai di famiglia.
Il resto è composto da banalità quali le gag ai danni delle forze dell’ordine americane (come ai tempi di Guy Hamilton), una sequenza ‘ad alta tensione’ ambientata in una location ‘esotica’ come il municipio di San Francisco (con fotografia quasi da Tv movie), ed un numero esorbitante di donne bionde dal ruolo inesistente, che appaiono e scompaiono a volte per pure esigenze di trama, a volte senza neanche quelle: l’agente Kimberley Jones che recupera Bond alla fine della sequenza iniziale (l’ex-Miss Mondo svedese Mary Stävin, che era stata una delle ragazze in Octopussy), l’incantatrice di farfalle (Carole Ashby, pure lei in Octopussy), la spia russa Pola Ivanova (Fiona Fullerton) e un’altra aiutante del cattivo, Jenny Flex (Alison Doody).
Bionda è anche la Bond Girl ufficiale del film, il geologo Stacy Sutton (Tanya Roberts, co-protagonista dell’ultima stagione di Charlie’s Angels), la quale, dopo aver usato le sue competenze per svelare il piano malvagio di Zorin (che, come in Superman, consiste nel solleticare la Faglia di Sant’Andrea), si trasforma molto presto in fanciulla in difficoltà, distinguendosi per le innumerevoli intonazioni con le quali pronuncia le parole ‘Oh, James!’.
Probabilmente gli autori avevano pensato che May Day, da sola, fosse più che sufficiente per soddisfare il requisito di un personaggio femminile ‘forte’, e si erano presi il pomeriggio libero.
Quando il finale arriva, la doppia sequenza d’azione nel sottosuolo e sul Golden Gate risvegliano lo spettatore dalla noia dell’ultima ora, ma non tolgono l’impressione che il film si sarebbe potuto chiamare A View to a Sleep.
Anche senza invocare i movimenti tellurici californiani, era ormai chiaro che, dopo aver ignorato il problema per almeno un lustro, era ora di dare uno scossone alla saga di James Bond.
Salutiamo così Sir Roger Moore, detentore della licenza di uccidere per dodici anni e per ben sette film, e degno rivale di Sean Connery nell’affetto dei fan. Nella memoria collettiva Moore resta purtroppo associato all’approccio dichiaratamente ‘per famiglie’ della seconda fase della sua carriera da 007, dimenticando che c’è stato un momento in cui il suo James Bond ha toccato il punto di perfetto equilibrio tra tensione e spensieratezza.
Curiosità (e chiamate alla ribalta):
- Dopo aver soffiato alla serie tv britannica The Avengers Honour Blackman per Goldfinger e Diana Rigg per On Her Majesty’s Secret Service, James Bond si appropriò anche del protagonista John Steed, alias Patrick Macnee, qui nel ruolo di Tibbett, esperto di scuderie e finto autista di James Bond. Moore e Macnee avevano recitato assieme nel 1977, rispettivamente nei ruoli di Sherlock Holmes e John Watson, nel Tv Movie Sherlock Holmes in New York
- Per la parte di Stacey Sutton, la produzione aveva contattato Priscilla Presley, che dovette rinunciare per via del suo ruolo in Dallas, e che pochi anni più tardi agguanterà il ruolo di Jane Spencer nei film della serie Una pallottola spuntata
- Lo spettatore accorto riconoscerà, nel ruolo dell’agente CIA di stanza a San Francisco, David Yip, che l’anno precedente si era fatto notare brevemente in Indiana Jones e il Tempio Maledetto, nel ruolo di Wu Han (“Nel regno del grande mistero, ci vado prima di te”). Ma lo stesso spettatore potrebbe non riconoscere, nel ruolo di Jenny Flex, Alison Doody, che conquisterà due generazioni di Henry Jones nel ruolo di Elsa in Indiana Jones e l’Ultima Crociata
- Lo spettatore accortissimo non si lascerà sfuggire il debutto cinematografico di Hans Lundgren detto Dolph, nel ruolo di un agente del KGB nella scena in cui il Generale Gogol ricorda a Max Zorin il suo passato da spia russa. Lundgren ottenne la parte in quanto fidanzato, all’epoca, di Grace Jones, e collaborò a definire le coreografie dell’allenamento tra Zorin e May Day. Qualche mese più tardi, Dolph Lundgren attirerà molti più occhi su di sé come Ivan Drago in Rocky IV
- Anche uno spettatore occhio di lince probabilmente non riuscirà a scorgere la fugace apparizione di Maud Adams: la co-protagonista di Octopussy e The Man with the Golden Gun era capitata sul set a San Francisco, e venne inclusa tra le comparse nella scena sul molo. Irriconoscibile, è stata identificata come una dei passeggeri che scendono dal tram
- 007 – Bersaglio Mobile – A View to a Kill fu, come già ricordato, l’ultimo film di Roger Moore nei panni di James Bond, ma risulterà anche l’ultima apparizione di Lois Maxwell nel ruolo di Miss Moneypenny. Dopo un onorato servizio di ventitrè anni e quattordici film, la produzione probabilmente pensava che Maxwell non avrebbe potuto mantenere la stessa alchimia con un 007 più giovane
- A 63 anni, Bob Simmons, ex-controfigura di Sean Connery che aveva partecipato a tutti i film di 007 ed era stato il protagonista originale della gunbarrel sequence da Dr. No a Goldfinger, accetto di non potersi più permettere scene d’azione, ma rimase a lavorare su Bersaglio Mobile per coordinare le scene con i cavalli
- l’ormai immancabile ‘uomo con vino’ non è qui un turista incredulo, ma un tassista parigino in pausa pranzo (interpretato da Lucien Jérôme). Perché gli stereotipi non colpivano solo la popolazione indiana
Debriefing:
- vittime di Bond: solo 3 (l’equipaggio di un elicottero all’inizio, Zorin alla fine)
- altre vittime: 10 (principalmente ad opera di May Day e Zorin), più la carneficina finale
- amoreggiamenti: 4 (Kimberley Jones, May Day, Pola Ivanova, Stacey Sutton)
- gadget: il mini-sottomarino truccato da iceberg, un rasoio elettrico rilevatore di cimici, occhiali che permettono di spiare attraverso vetri oscurati, un anello che fa anche da macchina fotografica, una carta di credito che permette di aprire le finestre, una cabina di cantiere che si trasforma in dirigibile, ed un dispositivo spia telecomandato a metà tra uno dei droidi cinguettanti di Star Wars ed un Roomba
- tempo trascorso nel Regno Unito: sette minuti circa (durata totale: 2 ore e 11 minuti)
- 🇬🇧 Brit Factor 🇬🇧: 44%
- Paesi visitati: Unione Sovietica (Siberia), Regno Unito, Francia, Stati Uniti (California)
- the Love Boat: questa volta, il film si conclude non sull’acqua, ma sotto l’acqua, con una doccia romantica. Risultato parziale: Imbarcazioni: 10, Resto del Mondo: 4
- Title Track: A View to a Kill, interpretata dai Duran Duran e scritta dal gruppo assieme a John Barry (secondo Simon Le Bon, i Duran ebbero le ‘idee musicali’, ma l’esperienza di Barry fu ciò che le mise nell’ ‘ordine giusto’ per la canzone). Risultato, si narra, della domanda etilica posta dal bassista John Taylor ad Albert Broccoli: ‘Quand’è che farete scrivere una delle vostre canzoni a qualcuno decente?’, il brano fu l’ultimo pezzo inciso dal quintetto originale (nel 1986 i Duran rimasero in tre, e dopo varie vicissitudini il gruppo si riunì nel 2001). Fu anche l’unica Bond Track a raggiungere la vetta della classifica americana Billboard. I titoli di testa, realizzati come sempre da Maurice Binder, alternano sculture di ghiaccio e donne che ‘dance into the fire’, che ricordano un po’ Gozer il Gozeriano
- riconoscimenti: candidatura al Golden Globe per il brano A View to a Kill, per i Duran Duran e John Barry (il premio andò a Lionel Richie per Say You, Say Me). Barry vinse comunque il premio per la Miglior Colonna Sonora per La Mia Africa
Classifica parziale:
- La spia che mi amava / The Spy Who Loved Me (1977)
- Agente 007 – Al Servizio Segreto di Sua Maestà / On Her Majesty’s Secret Service (1969)
- Agente 007 – Si vive solo due volte / You Only Live Twice (1967)
- A 007, dalla Russia con amore / From Russia With Love (1963)
- Agente 007 – Missione Goldfinger / Goldfinger (1964)
- Agente 007 – Vivi e lascia morire / Live and Let Die (1973)
- Solo per i tuoi occhi / For Your Eyes Only (1981)
- Agente 007 – Licenza di uccidere / Dr. No (1962)
- Moonraker – Operazione Spazio / Moonraker (1979)
- Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro / The Man with the Golden Gun (1974)
- Agente 007 – Thunderball (Operazione Tuono) / Thunderball (1965)
- 007 – Bersaglio mobile / A View to a Kill (1985)
- Agente 007 – Una cascata di diamanti / Diamonds Are Forever (1971)
- Octopussy – Operazione Piovra / Octopussy (1983)
James Bond Non Muore Mai ritornerà in Zona Pericolo.
Fonti: Wikipedia, lo spoiler special podcast di Empire, il libro Some Kind Of Hero* di Matthew Field e Ajay Chowdhury, IMDB, James Bond Wiki, MI-6 HQ. Il conteggio delle vittime è stato realizzato durante la visione del film e verificato con quello di All Outta Bubblegum. Il Brit Factor è un indice calcolato sulla base delle nazionalità delle persone coinvolte e sulle location del film, nella realtà e nella storia.
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