James Bond riceve l’incarico di proteggere il Generale russo Georgi Koskov, che ha deciso di disertare il KGB. A Bratislava, 007 salva il militare dal colpo di un cecchino, una violoncellista bionda: galantemente Bond evita di uccidere la donna, limitandosi a ferirla, allo scopo di spaventarla a morte (‘scare the living daylights out of her’). Poi, orchestra la fuga del militare verso l’Austria e infine verso la Gran Bretagna. Koskov rivela a Bond ed M che il nuovo direttore del KGB, il Generale Pushkin, ha attivato l’operazione ‘Smiert Spionam’ (‘morte alle spie’), che ha già provocato due vittime tra le fila degli agenti con licenza di uccidere.
Quando un emissario rapisce Koskov, James Bond si mette sulle sue tracce, partendo dall’unica pista a sua disposizione: la violoncellista dal grilletto facile.
Roger Moore era ormai ufficialmente pensionato dal ruolo di 007, e gli ormai abituali sceneggiatori Michael G. Wilson e Richard Maibaum accarezzarono l’idea di dare uno scossone alla serie e sfruttare al meglio le possibilità creative che un attore più giovane avrebbe portato: perché non realizzare un prequel con un agente inesperto, non ancora dotato di licenza doppiozero, come protagonista? La proposta venne rifiutata da Albert R. Broccoli, che sosteneva che il pubblico voleva le avventure di un agente segreto esperto, non le peripezie di un principiante.
A tal proposito, si decise che il film sarebbe ritornato a proporre una vera e propria storia di spie: venne presa come base la trama del racconto The Living Daylights, e su di essa fu costruita una storia simile per certi versi a From Russia With Love, con James Bond al centro di una vicenda di inganni e doppio gioco.
Con John Glen ancora alla regia, e la maggior parte della troupe dei film precedenti tuttora al suo posto, restava un piccolo dettaglio: mancava un attore protagonista.
L’attrice inglese Maryam d’Abo, che era stata considerata per la breve parte di Pola Ivanova nel film precedente, venne incaricata di dare una mano con il casting, recitando da controparte femminile ai vari attori contendenti negli screentest, che come sempre replicavano l’incontro fra Tanya Romanova e James Bond in Dalla Russia con amore.
Si dice che Mel Gibson e Christopher Lambert siano stati considerati per il ruolo, ma di sicuro passarono davanti alle telecamere il Francese Lambert Wilson (che oggi ricordiamo come ‘il Merovingio’ dei sequel di Matrix) e Sam Neill, favorito al quale però mancò l’appoggio di Albert Broccoli. Alla fine delle audizioni, venne scritturato Pierce Brosnan.
Già.
Però Brosnan era sotto contratto per la serie Remington Steele, la produzione della quale, dopo due mesi di negoziazioni, rifiutò di svincolare l’attore dai suoi impegni.
Scorrendo la lista dei papabili del passato, Eon Productions ricontattò l’eterno candidato Timothy Dalton, il quale, finalmente, accettò.
Arrivati al quindicesimo film ed al quarto attore protagonista, la produzione aveva ormai una certa esperienza nell’avvicendamento, e non covava più il timore che gli spettatori potessero restare confusi dal nuovo volto. Da un lato, quindi, non c’era più bisogno di rimarcare la continuità del ruolo, come era successo per il passaggio di consegne Connery-Lazenby; dall’altro, succedere a Sir Roger non incuteva senz’altro la stessa soggezione che aveva comportato sostituire Sir Sean: vennero messe da parte anche le ostentate differenze che avevano marcato l’avvicendamento Connery-Moore.
Il nuovo James Bond poteva continuare liberamente a bere vodka-martini-agitato-non-mescolato, poteva scegliere di essere in parte lo stesso di sempre ed in parte un uomo diverso. Non importava più.
Timothy Dalton non era nuovo a produzioni cinematografiche (aveva debuttato nel 1968 nel pluripremiato Il leone d’inverno, fino ad interpretare il Principe Barin nel Flash Gordon del 1980), ma le sue credenziali più note erano quelle di attore teatrale shakespeariano. Quando arrivò nel ruolo di 007, forte della sua familiarità con i romanzi di Ian Fleming, sorprese tutti, insistendo perché James Bond tornasse ad essere un uomo d’azione, duro ma vulnerabile, più simile al personaggio letterario di quanto lo fosse stato sul grande schermo nell’era Moore.
A quarantun anni, venti dei quali passati sulle scene e sugli schermi, l’attore gallese era sicuramente lo 007 con maggiore esperienza di recitazione: un’abilità grazie alla quale il suo personaggio è più sfaccettato di quello dei suoi predecessori, capace com’è di comunicare sia fredda risolutezza che fascino e dolcezza.
È anche un Bond che comunica molto di più di quanto abbia fatto in passato, non lesinando in parole e soprattutto non limitandosi alle battute a doppio senso che avevano punteggiato i film precedenti.
È un peccato che non trovi una vera alchimia con la sua co-protagonista, la bionda Maryam D’Abo che, com’era accaduto a Maude Adams per Octopussy, fu così convincente come ‘spalla’ negli screentest da essere scritturata nella parte della violoncellista (con licenza di sparare) Kara Milovy. La colpa è anche e soprattutto del copione, che non sa esattamente cosa fare con il personaggio della donna, oscillante tra la sua fedeltà a Koskov e l’attrazione per 007.
Come in Octopussy, The Living Daylights prendeva ispirazione da fatti di cronaca, ribaltando in versione sovietica un traffico d’armi che ricordava lo scandalo Iran-Contra che stava scuotendo l’amministrazione Reagan.
Come in Octopussy, un’idea presa dall’attualità non era sufficiente per ordire una trama, che finì per essere puntellata con elementi così vari (dalla diserzione, alla vendita di armi, al traffico di stupefacenti, alla resistenza afghana) da rendere il film slegato e poco appassionante, più interessato a cucire assieme le sue scene d’azione che a completare una storia coerente.
Come in Octopussy, i villain risultarono così deboli che non ne bastava uno solo: forse per non irritare troppo l’Unione Sovietica in un momento importante di cambiamento (Mikhail Gorbachev si era installato al Cremlino due anni prima), i cattivi finirono per essere sagome da cartone animato, diametralmente opposte al decantato realismo costruito per il protagonista.
L’Americano Joe Don Baker, nel ruolo di Brad Whitaker, è un megalomane con la passione per le ricostruzioni in miniatura di battaglie storiche, ma appare in così poche scene che ha veramente poco tempo per lasciare il segno.
Miglior sorte tocca al Danese Jeroen Krabbé, diventato popolare l’anno prima in Jumpin’ Jack Flash: nel ruolo del Generale Koskov è il vero coprotagonista del film, ma il personaggio, buffo e sopra le righe, non riesce mai ad essere veramente minaccioso.
Per quello, c’è Necros (il Tedesco Andreas Wisniewski), nuova incarnazione del tirapiedi alto, biondo e inarrestabile che James Bond ha incontrato innumerevoli volte sul suo cammino, da Red Grant in poi. Necros si distingue per la sua passione per la musica, e in particolar modo per Chrissie Hynde e i Pretenders.
Se Walter Gotell non avesse avuto problemi di salute, il suo Generale Gogol avrebbe avuto finalmente un ruolo di primo piano: invece, l’attore fu impossibilitato a partecipare per più di un semplice cameo, e venne introdotto un personaggio nuovo, il Generale Pushkin. Niente di personale contro John Rhys-Davies (il Sallah de I Predatori dell’Arca Perduta e futuro Gimli), ma se ad essere accusato di tradimento della fiducia dell’MI6 fosse stato Gogol, l’effetto drammatico sarebbe stato molto maggiore.
Cosa ci resta quindi di 007 – Zona Pericolo (non ci sentiamo di criticare i titolisti italiani, per una volta)? Un nuovo James Bond con un ottimo potenziale, ma un film tutto sommato di routine, con i soliti paracadute, la solita sequenza sulla neve e l’usuale combattimento ad alta quota (per il terzo finale consecutivo 007 si trova appeso ad un velivolo). In più, alla luce degli sviluppi storici in Afghanistan dei decenni successivi, oggi The Living Daylights ci lascia con una sensazione forte più che mai di anacronismo. Ma di questo non possiamo certo fare una colpa a James Bond.
Curiosità e chiamate alla ribalta:
- forse un’influenza positiva questo film l’ha avuta: l’immagine di Maryam d’Abo che sguaina il suo fucile da una finestra del Palazzo dell’Opera (a Bratislava nel film, in realtà la Wiener Wolksoper) ci porta immediatamente alla memoria Rebecca Ferguson che prende la mira nel Wiener Staatsoper in Mission: Impossible – Rogue Nation
- 007 Zona Pericolo è l’ultimo film in cui appaiono il Generale Gogol (Walter Gotell) e Frederick Gray (Geoffrey Keen), comparsi per la prima volta in The Spy Who Loved Me e tornati poi in ogni avventura per un intero decennio. Per Keen, questo fu l’ultimo film in assoluto, mentre Gotell continuò a recitare per altri dieci anni (incluso un episodio di X-Files)
- The Living Daylights è anche l’ultimo James Bond per il compositore John Barry, che aveva musicato dodici dei quindici film usciti (con le eccezioni di Live and Let Die, The Spy Who Loved Me e For Your Eyes Only). Come premio per i servizi resi, Barry appare alla fine del film in un cameo, nel ruolo del Direttore d’Orchestra
- c’è una nuova Miss Moneypenny: la bionda e sorridente Caroline Bliss, che però non riesce a far dimenticare la discrezione di Lois Maxwell
- c’è anche un nuovo Felix Leiter: a quattordici anni dalla sua ultima apparizione (in Live and Let Die), l’agente della CIA appare solo in paio di scene, un trattamento ingrato per un personaggio già normalmente bistrattato anche nei suoi momenti migliori. Al sesto film, Leiter è intepretato dal sesto attore: si tratta in questo caso di John Terry, che le generazioni recenti ricordano per il ruolo di Christian Shepherd, il babbo di Jack in Lost
- dopo il suo fondamentale contributo in For Your Eyes Only, ritorna in un cameo il pappagallo Chrome
Debriefing:
- vittime di Bond: 6 più i soldati coinvolti nell’esplosione del ponte
- altre vittime: 11, più le vittime nel combattimento finale
- amoreggiamenti: 2 (Linda – la donna sullo yacht al largo di Gibilterra -, e Kara Milovy)
- gadget: le bottiglie di latte molotov; il portachiavi attivato fischiando le note di ‘Rule Britannia’ che rilascia gas e dotato di carica esplosiva, oltre che di passepartout che può aprire il 90% delle serrature mondiali; l’Aston Martin Vantage Volante equipaggiata con raggio laser, head-up display, missili, ruote chiodate, stabilizzatori e sci; nonché la custodia del violoncello che funge, suo malgrado, da slittino
- tempo trascorso nel Regno Unito: 22 minuti circa, includendo la sequenza iniziale a Gibilterra (durata totale: 2 ore e 10 minuti)
- 🇬🇧 Brit Factor 🇬🇧: 56%
- Paesi visitati: Regno Unito, Cecoslovacchia, Austria, Marocco, Afghanistan
- the Love Boat: il film si conclude al Teatro dell’Opera, nel camerino di Kara. L’amoreggiamento sul natante c’è, ma avviene (non per i nostri occhi) appena dopo la sequenza iniziale. Risultato parziale: Imbarcazioni: 10, Resto del Mondo: 5
- Bond Track: erano stati contattati i Pet Shop Boys, erano stati contattati The Pretenders, ma, visto il successo avuto dai Duran Duran con A View to a Kill, si decise di continuare ad inseguire i gusti ggiovani, e vennero contattati gli A-ha, forti del successo di The Sun Always Shines on T.V.. La band norvegese scrisse la canzone The Living Daylights, poi rifinita per James Bond da John Barry. Un brano non troppo memorabile (eccetto per il ritornello), tanto che per la prima volta non venne usato anche per i titoli di coda. Chrissie Hynde e i suoi Pretenders si presero la rivincita con il finale del film, accompagnato da If There Was a Man, oltre a realizzare con Barry Where Has Everybody Gone, vero e proprio leit motif che accompagna le gesta delittuose di Necros. Gli A-ha comunque possono vantare di essere gli unici artisti non inglesi né americani ad avere interpretato un brano per 007
- riconoscimenti: nulla di rilevante
Classifica parziale:
- La spia che mi amava / The Spy Who Loved Me (1977)
- Agente 007 – Al Servizio Segreto di Sua Maestà / On Her Majesty’s Secret Service (1969)
- Agente 007 – Si vive solo due volte / You Only Live Twice (1967)
- A 007, dalla Russia con amore / From Russia With Love (1963)
- Agente 007 – Missione Goldfinger / Goldfinger (1964)
- Agente 007 – Vivi e lascia morire / Live and Let Die (1973)
- Solo per i tuoi occhi / For Your Eyes Only (1981)
- Agente 007 – Licenza di uccidere / Dr. No (1962)
- Moonraker – Operazione Spazio / Moonraker (1979)
- Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro / The Man with the Golden Gun (1974)
- Agente 007 – Thunderball (Operazione Tuono) / Thunderball (1965)
- 007 – Zona Pericolo / The Living Daylights (1987)
- 007 – Bersaglio mobile / A View to a Kill (1985)
- Agente 007 – Una cascata di diamanti / Diamonds Are Forever (1971)
- Octopussy – Operazione Piovra / Octopussy (1983)
James Bond Non Muore Mai ritornerà in Vendetta Privata.
Fonti: Wikipedia, lo spoiler special podcast di Empire, il libro Some Kind Of Hero* di Matthew Field e Ajay Chowdhury, IMDB, James Bond Wiki, MI-6 HQ. Il conteggio delle vittime è stato realizzato durante la visione del film e verificato con quello di All Outta Bubblegum. Il Brit Factor è un indice calcolato sulla base delle nazionalità delle persone coinvolte e sulle location del film, nella realtà e nella storia.
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