6 Underground recensione del film di Michael Bay con Ryan Reynolds, Mélanie Laurent, Adria Arjona, Corey Hawkins, Manuel Garcia-Rulfo e Ben Hardy Lior Raz
A 24 anni dal suo esordio cinematografico con Bad Boys, l’uomo da 9 miliardi di dollari al box office mondiale in veste di regista e produttore, il miglior filmmaker action degli ultimi 20 anni, capace come nessun altro di lavorare a sequenze imponenti ambientate in vasti scenari utilizzando al meglio le tecnologie di ultima generazione per gli effetti speciali visivi, alla continua ricerca di una sensazione di stupore sempre maggiore, identificando un genere ma anche un talento, ossia la capacità di dirigere con personalità e fare sue le macchine hollywoodiane più complicate, si concede un divertissement in casa Netflix con 6 Underground, fiera di poter esibire la firma di Michael Bay tra le sue produzioni originali.
Senza scomodare i blockbuster più clamorosi di Bay, siamo assai distanti non soltanto dal bellissimo 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi – candidato all’Oscar per il miglior sound mixing – o dallo sfortunato Pain & Gain – Muscoli e denaro, ma anche dai migliori risultati di genere raggiunti da Netflix con le sue produzioni originali, pensiamo all’ottimo Triple Frontier di J.C. Chandor.
Faremmo un torto alla carriera di Bay – al di là delle facili ironie di cui è ormai vittima partecipe sul numero di proiettili ed esplosioni che riempiono i suoi film – ad accogliere positivamente 6 Underground, film d’azione fiacco, senz’anima, senza emozioni, senza scrittura e senza interpreti che fatica già durante le migliori sequenze action ambientate a Firenze, contraddistinte certamente da alcuni virtuosismi stunt pazzeschi e da alcune coreografie da paura, ma che tuttavia non esaltano le sequenze sullo schermo né fanno scorrere adrenalina nelle vene, commettendo sacrilegio al nome stesso di Michael Bay.
Sei anzi sette fantasmi di cui non sappiamo nulla se non che si sono liberati dalla schiavitù della vita morendo in essa e dedicandosi a combattere il male più estremo e senza scrupoli. Non sappiamo cosa li animi, sogni, desideri, ambizioni economiche, automi alle non meglio precisate dipendenze di Uno, interpretato da Ryan Reynolds, copia sbiadita di Ben Affleck il cui paragone risulta qui particolarmente calzante interpretando un cavaliere oscuro miliardario che impegna le sue ricchezze per rendere il mondo un posto migliore.
Dopo le notevoli seppur apatiche sequenze action iniziali, 6 Underground implode in una banale storia a basso budget banalmente raccontata su un supercattivo dittatore asiatico da spodestare, con un’abbondanza di scene poco interessanti utilizzate come pretesto per product placement spinto e sensuali fattezze femminili da mostrare senza veli.
Mélanie Laurent (Shosanna di Bastardi senza gloria) interpreta Due ma è probabilmente la prima e più in vista interprete in un cast mantenuto tuttavia anonimo dalla sceneggiatura di Paul Wernick e Rhett Reese, che più e più volte sembra soltanto un esile pretesto per giustificare scene stunt estreme di parkour, sparatorie in first person shooting e ridondanti inseguimenti esplosivi.
Così come le sequenze iniziali con protagonista assoluta l’Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio Green Neon, anche la conclusione della pellicola si ravviva con alcune trovate e sequenze interessanti, troppo poco tuttavia per una storia mai attrattiva che con disarmante semplicità prova sul finale a buttare banalmente nella mischia il concetto di famiglia di stampo Fast & Furious preannunciando nuove missioni con i nostri sei protagonisti, che eppure protagonisti del film non lo sono mai stati.
La colonna sonora di Lorne Balfe include i Muse (Dig Down, The Handler) ed Eminem con Lose Yourself, mentre spiccano Bishop Briggs con White Flag, Armin van Buuren con Blah Blah Blah ed il remix del celebre O’ Fortuna di Carl Orff a cura di Spiritual Project.