7500 recensione film di Patrick Vollrath con Joseph Gordon-Levitt, Aylin Tezel, Carlo Kitzlinger, Omid Memar e Murathan Muslu
Nella storia della cinematografia mondiale i dirottamenti aerei hanno sempre fatto gola ai registi, sia per il loro potere adrenalinico sia per il messaggio e la morale che spesso riescono a veicolare. Solo per citarne alcuni tra i più recenti Flightplan (2005), thriller post 11 settembre con Jodie Foster, Non-Stop (2014) con Liam Neeson nei panni di un agente federale intimidito da messaggi sconosciuti e Volo Pan Am 73 (2016), pellicola bollywoodiana che narra la storia vera della hostess Neerja Bhanot minacciata da un’organizzazione terroristica, tutti e tre girati a bordo di aeromobili, sono sicuramente i più rappresentativi del “terrorismo ad alta quota”, che anche se risulta essere una tematica molto battuta dai cineasti, non stanca mai e inchioda lo spettatore alla poltrona sin dal primo minuto. Ed è proprio quello che succede vedendo 7500, esordio nel lungometraggio di Patrick Vollrath, regista tedesco che si è aggiudicato nel 2015 una nomination all’Oscar al miglior cortometraggio con Everything Will Be Okay. In effetti chi sa qualcosa di aviazione può immaginare, già dal titolo, la trama della pellicola, conoscendo il significato che ha il codice 7500, utilizzato in caso di atti illegali a bordo, come ad esempio un dirottamento aereo o la presenza di una bomba a bordo.
Sin dalle prime scene, in cui i futuri terroristi vengono ripresi dalle telecamere dell’aeroporto mentre passano i controlli di sicurezza ed effettuano futili acquisti nei duty free che poi si riveleranno fatali armi nelle loro mani, si viene catapultati in un’atmosfera molto realistica che permette allo spettatore di entrare subito in empatia con la storia.
Successivamente si viene trasportati direttamente nel cockpit dell’aereo, che sarà l’unico luogo in cui si svolge l’intero film, rendendo il passaggio di scena quasi automatico e fondamentale per lo svilupparsi della vicenda che vede come protagonista il co-pilota del volo di linea da Berlino a Parigi, Tobias Ellis, interpretato da un eccellente Joseph Gordon-Levitt, già apprezzato in Inception, (500) Days of Summer, Inception, 50/50 e The Dark Knight Returns.
Dopo un incipit molto soft in cui viene raccontata la normale routine di un equipaggio che si prepara all’imbarco dei passeggeri e in cui, durante i soliti convenevoli di conoscenza che si fanno prima di iniziare il turno, viene svelata dal comandante tedesco Michael (Carlo Kitzlinger) la relazione tra l’americano co-pilota, che vive e lavora a Berlino, e l’hostess Gökce (Aylin Tezel), l’atmosfera si surriscalda immediatamente, eliminando di colpo la rilassatezza iniziale e lasciando spazio a un pathos crescente e persistente fino alla fine, proprio come accade nello stile hitchcockiano.
Le stesse persone normali che all’inizio sono state riprese dalle silenti inquadrature aeroportuali si trasformano all’improvviso in spietati e crudeli terroristi che al grido di “Allahu akbar” sono intenzionati a sacrificare non solo tutti i passeggeri del volo ma anche le loro vite, mettendo in atto un vero e proprio dirottamento dell’aereo con la volontà di farlo schiantare.
Diversi gli espedienti narrativi utilizzati dal giovane regista tedesco che andrebbero approfonditi. Primo fra tutti la già accennata scelta di un unico set, la cabina di pilotaggio, tanto angusta quanto indispensabile per la resa claustrofobicamente coinvolgente del film. Tutto accade e finisce lì dentro, conferendo importanza sia agli attori al suo interno, divisi fra buoni e cattivi, sia allo spazio stesso che diventa protagonista in tutti i suoi dettagli.
Un altro aspetto da non sottovalutare che contribuisce ad aumentare la parte action del film è lo schermo presente nel cockpit che funge da terzo occhio per Tobias, il quale per l’intera durata del volo riesce a monitorare la situazione ormai degenerata all’interno della cabina passeggeri dell’Airbus A319. Inoltre, fondamentale per la virata psicologica del thriller la conversazione finale tra Tobias e Vedat (Omid Memar), il terrorista più giovane e inesperto che viene descritto dal regista come l’anello debole dell’organizzazione. La chiacchierata alterna infatti toni accesi e estremamente nervosi a semplici domande di conoscenza tra due sconosciuti e si riallaccia, come a chiudere il cerchio, alla frase di Gandhi che comprare all’inizio del film, “Occhio per occhio e il mondo diventa cieco”.
Più che soddisfacente il debutto nel lungometraggio di Vollrath che, con 7500 presentato al Locarno film festival 2019, non si perde nella retorica del thrilling terroristico ma focalizza l’occhio della suo camera su problematiche e questioni, quali l’integralismo religioso e le sue conseguenze, sempre più connesse con la nostra realtà e società.
Arianna