Hotel Artemis recensione del film di Drew Pearce con Jodie Foster, Jeff Goldblum, Sofia Boutella, Dave Bautista, Zachary Quinto, Charlie Day, Sterling K. Brown, Brian Tyree Henry e Jenny Slate
In una stagione cinematografica estiva più produttiva del solito (grazie al progetto Moviement), trova spazio anche il primo film da regista di Drew Pearce, sceneggiatore noto principalmente per aver contribuito alla realizzazione dello script di Iron Man 3 e per la sitcom No Heroics. Un esordio, il suo, ambizioso e con diverse carte da spendere.
Innanzitutto, il ritorno alla recitazione di Jodie Foster, che mancava dai set dal lontano 2013 (Elysium). In secondo luogo, la possibilità di portare sugli schermi un racconto distopico ambientato in una Los Angeles del futuro (molto prossimo) in cui regnano caos e disordine civile. Infine, una buona libertà a livello creativo, elemento che si evince soprattutto dalla cura dell’estetica e da una narrazione che sceglie di strutturarsi anche su un piano più metaforico.
Hotel Artemis si apre come se fosse un heist movie e scivola rapidamente nella fantascienza e nell’azione più sfrenata. Tutto il film ruota intorno all’hotel del titolo, sorta di prigione fisica e mentale all’interno della quale si rinchiudono i personaggi per scappare da quello che c’è fuori e un po’ anche da loro stessi. Ci sono Sherman e Lev, due fratelli che non riescono ad allontanarsi dalla cattiva strada; Nizza, femme fatale che uccide su commissione; Acapulco, trafficante d’armi vanesio e irrispettoso; Everest, montagna di muscoli dal cuore d’oro. C’è soprattutto lei, L’Infermiera, la persona preposta alla salvaguardia dell’hotel, con un passato oscuro e un’agorafobia che non le permette di allontanarsi dall’edificio.
Il regista costruisce il film intorno a questi personaggi e lo gira quasi in unità di tempo e di luogo (una notte che cambierà la loro vita per sempre). Dopo un inizio che cattura, Hotel Artemis tiene a livello di estetica e di immagini ma comincia gradualmente ad adagiarsi su una riproposizione di scenari già visti.
I personaggi, forse troppi, risultano tagliati con l’accetta e non approfonditi come ci si aspetterebbe da chi ha sempre lavorato in contesti di scrittura. Anche lo sviluppo narrativo segue un canovaccio noto e non sorprende nemmeno nei pochi cambi di prospettiva.
Pearce sacrifica più volte la storia all’impatto visivo del suo film, spingendo il pedale sul versante action e tranciando di netto le caratterizzazioni di personaggi che, alla lunga, risultano troppo monodimensionali. Non c’è un vero dolo nel suo modus operandi, semplicemente prevale il piacere estetico rispetto alla volontà di coinvolgere lo spettatore anche attraverso altri piani di fruizione.
La metafora sociale si rivela un pochino appiccicata e, ancor di più, non convince quella interiore dei personaggi. Che cosa ci rimane allora? Soltanto la protagonista interpretata da Jodie Foster. La sua infermiera è, infatti, l’unico ruolo ben caratterizzato e sublimato dalla recitazione di un’attrice che riesce sempre a dare un qualcosa di suo, anche in contesti non del tutto a fuoco. Ovviamente questo non basta a risollevare le sorti di un film che aveva buone premesse ma che non si discosta da tanta produzione di genere che spesso naviga nell’anonimato. Anche la nicchia alle volte diventa cliché.
Sergio