Joker recensione del film di Todd Phillips con Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz e Frances Conroy
Quand’è che un film è bello? E quando è riuscito?
Compito forse della critica (persa spesso in mille rivoli inutili e inutili diatribe) rispondere. Meglio se si può fare con un film.
Com’è Joker? È bello, è brutto, è necessario, è un cinecomic?
Atteso in maniera spasmodica in un preciso momento storico dove i fumetti hanno colonizzato (a torto o a ragione) l’immaginario cinematografico, ma soprattutto atteso al varco dai vari fan ansiosi di vedere come e se la Warner – che detiene i diritti degli eroi DC – sia riuscita a portare sul grande schermo un personaggio che è diventato una vera e propria icona, Joker si gioca il tutto per tutto mostrandosi in anteprima mondiale durante Venezia 76, addirittura nella selezione ufficiale.
Il fuoco incrociato della stampa al Lido si sa, non sempre è obiettivo e non sempre centra l’obiettivo. Certo è che il film di Todd Phillips, già autore della trilogia Una Notte Da Leoni (The Hangover) nasce bicefalo: da una parte un film strutturalmente esile, con una trama fin troppo lineare e uno svolgimento che segue in maniera calligrafica e pedissequa un percorso verso la dannazione, dall’altra una prova d’attore magistrale, un monumento ad un interprete fenomenico.
Joaquin Phoenix polarizza letteralmente tutto il film, lo carica di energia e lo demonizza ed esorcizza in continuazione: in scena dalla prima all’ultima sequenza, letteralmente, Phoenix è mostruoso nel costruire un personaggio di per sé banale e banalizzante ma che invece già dalla primissima inquadratura riporta echi letterari e nobili e mostra una profondità non comune. L’Arthur Fleck di Phoenix, ovvero il ragazzo frustrato che vive con una mamma padrona passiva-aggressiva e che subisce i calci (letterali) della vita mentre una volta a settimana va ai servizi sociali per poter avere i suoi psicofarmaci, è un paradigma di paranoia e brutalità sopita, un simbolo suburbano, uno specchio scuro nel quale riflettere le nostre peggiori incarnazioni.
E non sarà un caso, o forse è proprio il destino, che Phoenix si incontri e si scontri proprio con lo stesso De Niro scorsesiano (da Taxi Drivers a Re Per Una Notte) che nel secolo scorso aveva dato vita al prototipo da psicodramma maniacale invaso dalla follia della città moderna: perché sarà un colpo di pistola ad unirli, e quasi a passare il testimone ad un Phoenix che con il suo Joker mette un punto ad un certo tipo di personaggio al cinema.
Pieno di inventiva, corrosivo, acido, bestiale, patetico: Joaquin attraversa tutte le sfumature del dolore e le risputa fuori in un verso tragico e spaventoso (geniale, a metà strada tra risata e pianto), non si limita ad interpretare un Joker ma ne indossa letteralmente panni e trucco, reinventando il personaggio e allo stesso tempo rimanendo fedele al suo nucleo pieno di magma ribollente nei fumetti.
Sorpassando in un volo tragico, e in un colpo solo, i precedenti: dal grottesco Cesar Romero al fin troppo caricaturale Jack Nicholson fino al mimetico Heath Ledger, anche se ognuno di loro ha dato un peso specifico al personaggio, solo Phoenix ha saputo renderlo realmente sano portatore di caos e anarchia, nel rispetto dei paradigmi fumettistici (stabiliti, una volta per tutte, dal The Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland).
E la sua andatura trasognata, traballante e danzante è già cult.
Gianlorenzo