City Hunter: Private Eyes recensione dell’anime di Kenji Kodama tratto dalla serie televisiva City Hunter
Ryo Saeba torna finalmente in azione al cinema nella nuova avventura adrenalinica e ricca di movimento City Hunter: Private Eyes. Quando la giovane Ai Shindo scopre di essere pedinata da alcuni malviventi, si reca alla polizia in cerca di protezione, ma senza successo. Conoscendo l’esistenza del leggendario Sweeper, il cacciatore di criminali di Shinjuku, quartiere di Tokyo, lascia un messaggio in codice “XYZ”, sperando che la trovi prima dei malfattori. Così facendo, viene infine scortata da Ryo Saeba, abile tiratore ed esperto di arti marziali, in compagnia della sua collega Kaori Makimura.
Il trio verrà attaccato da molti criminali armati fino ai denti, arrivando infine a scoprire che Ai Shindo possiede la chiave per attivare un’arma micidiale, chiamata Moebius, in grado di scatenare guerre e distruggere intere città. Ryo e Kaori dovranno affrontare Shinji Mikuni a capo della potente azienda Dominatech, per salvare Shinjuku ed il mondo da questa nuova minaccia.
Ryo Saeba, protagonista dei manga City Hunter (1985) ed Angel Heart (2001) di Tsukasa Hōjō, è un personaggio controverso figlio della sua epoca (cosa che viene fatta notare anche nel film). È infantile, volgare e ogni volta che incontra una bella donna, commenta a voce alta imbarazzando i presenti nella scena.
Gli appassionati di City Hunter conoscono le sue reazioni esagerate, ma il pubblico generalista potrebbe restare inizialmente sconcertato e, alla lunga, stancarsi delle continue molestie che non arrivano con l’effetto comico desiderato.
City Hunter: Private Eyes è il quarto lungometraggio animato dedicato alla creatura di Tsukasa Hōjō, grande successo in Giappone con oltre un miliardo e mezzo di yen incassati (12 milioni di euro). Quanto a Kenji Kodama, aveva già diretto le prime due serie animate (su quattro) di City Hunter tra il 1987 e il 1988, trasmesse in Italia negli anni ’90.
Come sapete, il disegno e l’animazione tradizionale del cartone animato – anime per i giapponesi – iniziano inesorabilmente a sparire, venendo accantonati dalle ultime frontiere della realizzazione completamente digitale in computer grafica. In Giappone essi continuano ad essere realizzati secondo tradizione, ed è sempre piacevole constatare che anche al cinema gli anime si confermano opere di intrattenimento ugualmente valide.
Se non siete assidui appassionati del genere, alla fine della visione di City Hunter: Private Eyes vi sembrerà di non aver più guardato un cartone animato da almeno vent’anni, e sarà una sensazione decisamente piacevole.
Marco R.