Il prossimo 8 aprile arriverà nei cinema No Time To Die, la venticinquesima missione ufficiale di James Bond, l’agente segreto britannico con licenza di uccidere e di conquistare cuori femminili.
Può temporaneamente ‘morire’, o passare di moda, ma in realtà James Bond non muore mai: vi proponiamo pertanto un percorso di avvicinamento a questa tappa importante, rivisitando con occhi contemporanei le precedenti peripezie cinematografiche di 007.
James Bond arriva al cinema nel 1962, con Dr. No (in Italia: Agente 007 – Licenza di uccidere, titolo così azzeccato da creare qualche problema quando, quasi trent’anni più tardi, uscirà Licence to kill), adattamento piuttosto fedele dell’omonimo romanzo di Ian Fleming. La strada per arrivare all’uscita del film è stata tutt’altro che semplice.
Ian Fleming, Londinese ex ufficiale della Naval Intelligence Division britannica, pubblicò il suo primo romanzo con protagonista James Bond, Casino Royale, nel 1952, ottenendo un inaspettato successo di pubblico, e attirando l’attenzione dei media, interessati ad un adattamento.
Se vi chiedessimo chi è stato il primo attore ad interpretare questo personaggio sullo schermo, la risposta probabile sarebbe… sbagliata.
Nel maggio 1954, infatti, un episodio della serie televisiva Climax! presentò un adattamento di Casino Royale, con protagonista l’attore di origini norvegesi Barry Nelson; il suo nome potrebbe non dirvi molto, ma ci sono altissime probabilità che l’abbiate visto all’opera almeno una volta: nel ruolo del manager dell’Overlook Hotel che assume Jack Torrance/Nicholson in The Shining. Ma divaghiamo – se siete interessati al primo Bond, con Peter Lorre nel ruolo di Le Chiffre, lo trovate online.
L’adattamento televisivo non era sufficiente a soddisfare lo scrittore, il quale, convinto che la vera consacrazione (anche economica) potesse venire solo dal cinema, cercava ardentemente un produttore che acquisisse i diritti delle sue opere e le portasse sul grande schermo: nel 1954 era riuscito anche a vendere i diritti per Casino Royale all’attore e produttore russo Gregory Ratoff ma, nonostante proclami ufficiali che annunciavano il film, esso non venne mai prodotto.
L’interesse da parte del mondo della celluloide non mancava, ma le pretese monetarie dell’autore mandarono all’aria più di un progetto. I tentativi erano tutti più o meno simili: Fleming scriveva storie originali da trasformare in sceneggiature, veniva contattato, i produttori non ritenevano il progetto all’altezza delle richieste economiche, il progetto falliva, e Fleming riciclava la storia per il suo prossimo romanzo o racconto.
Un amico d’infanzia, Ivar Bryce, lo convinse infine a prendere il toro per le corna, e trovò qualcuno che lo aiutasse ad autoprodurre il tanto desiderato film: l’Irlandese Kevin McClory, che aveva qualche esperienza del settore, avendo scritto e diretto una pellicola, The Boy and the Bridge, ed avendo avuto esperienza (non riconosciuta nei credits) come assistente di John Huston sul set de La Regina d’Africa e come produttore associato de Il Giro del Mondo in 80 Giorni con David Niven.
McClory propose di scrivere una storia originale, con l’aiuto di uno sceneggiatore con più esperienza: la scelta ricadde sull’Inglese Paul Dehn (che aveva vinto un Oscar nel 1950 per Seven Days To Noon – in Italiano Minaccia Atomica, la prima sceneggiatura alla quale aveva collaborato; per inciso, il film raccontava di un criminale che trafugava un ordigno nucleare e ricattava il governo britannico, minacciando di far saltare in aria Londra sette giorni dopo, a mezzogiorno). La trama proposta dall’Irlandese era praticamente la stessa, pur ambientata alle Isole Bahamas, ma Dehn non era interessato a scrivere di nuovo lo stesso film, e declinò l’offerta, che passò al suo connazionale Jack Whittingham.
Whittingham, McClory e Fleming completarono una sceneggiatura, intitolata Longitude 78 West, ma alla fine anche questo progetto si arenò. Come di consueto, Fleming riciclò la storia per un nuovo romanzo, che intitolò Thunderball, senza pensare di consultare gli altri due autori e senza riconoscere il loro contributo.
Appena prima della pubblicazione del libro, McClory e Whittingham si resero conto di quella che comprensibilmente considerarono un’appropriazione indebita del loro lavoro, ed intentarono un’azione legale che bloccò per qualche tempo qualsiasi adattamento cinematografico del romanzo (ed ebbe ripercussioni per i successivi sessant’anni).
Fleming riuscì finalmente a vendere un’opzione, della durata di sei mesi, che copriva tutti i suoi libri (eccetto il già ceduto Casino Royale ed il conteso Thunderball), al produttore canadese indipendente Harry Saltzman, che aveva ora il non facile compito di trovare i finanziamenti per produrre i film.
A pochi giorni dalla scadenza dell’opzione, un amico comune, lo scrittore e sceneggiatore inglese Wolf Mankowitz, presentò a Saltzman un produttore italo-americano, Albert R. Broccoli, il quale, a sua volta, aveva già cercato di acquistare i diritti dei romanzi, ed era assolutamente motivato a trasformarli in pellicola. Mankowitz aveva organizzato l’incontro, ad una condizione: se avesse portato frutti, l’incarico di scrivere la sceneggiatura del primo film sarebbe stato suo.
Dopo qualche diffidenza iniziale, Saltzman e Broccoli entrarono in una partnership fondando la società Danjaq (onorando i nomi delle mogli, Dana Broccoli e Jacqueline Saltzman) e la casa di produzione EON.
Si trattava ora di decidere su quale romanzo puntare, tra quelli opzionati: considerato il limitato budget disponibile, la scelta cadde sul sesto romanzo della serie, Dr. No.
Si dimentica a volte che il primo adattamento per un film di James Bond fu opera di una donna: Johanna Harwood, Irlandese collaboratrice di Saltzman, venne incaricata di scrivere velocemente una prima bozza di sceneggiatura. L’incarico di rifinirla passò, come da patti, a Mankovitz, affiancato dall’Americano Richard Maibaum, che aveva già lavorato con Broccoli in passato. I due non apprezzavano il personaggio del Dr. No, considerandolo già allora stereotipato e datato, e diedero libero sfogo alla creatività inventando un nuovo cattivo e assegnando il titolo di Dr. No ad una scimmietta.
La produzione non prese benissimo queste modifiche, ed ordinò una nuova stesura all’autore di storie di spionaggio Berkely Mather. Mankowitz rimase talmente disilluso da chiedere che il suo nome venisse rimosso a tutti gli effetti dal film.
Dopo che diversi registi rifiutarono l’incarico, venne assunto il Britannico Terence Young, che aveva lavorato con Broccoli nel 1956 su un film intitolato No Time To Die, e che può vantarsi di essere stato il primo a dirigere Christopher Lee in un film. Lee, tra parentesi, era anche cugino acquisito di Fleming (sua madre sposò uno zio dell’autore). Questi due fattori, sembra, portarono il futuro Dracula, Saruman e Count Dooku ad entrare in lizza per il ruolo del Dr. No. Quest’idea non si concretizzò, ma Lee si rifarà qualche anno dopo interpretando il Bond Villain Francisco Scaramanga in The Man with the Golden Gun.
Per il ruolo da protagonista, le leggende si sprecano: si narra che siano stati considerati Cary Grant (ma non avrebbe accettato di impegnarsi per più di uno o due film, mentre la produzione sperava di sviluppare una serie di quattro o cinque pellicole), David Niven e Roger Moore (troppo giovane). Venne indetto perfino un concorso per assegnare la parte di 007: il vincitore, il modello Peter Anthony, non l’ebbe mai.
Fu invece il poco più che trentenne scozzese Sean Connery ad ottenere la parte, sfidando lo scetticismo di chi, come Fleming, considerava la sua recitazione troppo acerba e basata principalmente sulla sua presenza fisica. Terence Young, colto e raffinato, si assunse il compito di fare da Pigmalione e trasformare l’attore in un ‘My Fair James Bond’: nacque così lo 007 ‘di riferimento’, con il quale tutti gli attori che interpretarono il ruolo successivamente dovettero (e ancora devono) misurarsi.
La trama è semplice, quasi da Detective Story più che da film di spionaggio: l’agente segreto con licenza di uccidere James Bond viene inviato in Giamaica per indagare sulla scomparsa del responsabile dell’MI6 sull’isola. Scoprirà un piano criminale organizzato dal Dottor Jules No, che ha come obiettivo interferire con il lancio di missili lunari statunitensi per conto della società segreta SPECTRE. Nel corso della missione, dovrà sopravvivere a diversi attacchi alla sua persona, distinguere tra alleati veri e finti, e naturalmente approfittare al meglio di compagnie muliebri.
James Bond appare sicuro di sé ma, per il gusto moderno, forse eccessivamente piacione, dando l’impressione di non prendere davvero nulla sul serio. Ma non dimentichiamo che siamo pur sempre in un film inglese degli anni ’60, non ancora il riverito capostipite di una delle più lunghe saghe cinematografiche della Storia.
Per lo stesso motivo non possiamo essere troppo critici della mancanza di correttezza politica che si manifesta nell’utilizzo di un attore caucasico (il Canadese Joseph Wiseman) per interpretare il villain germano-cinese – ma decisamente dagli occhi a mandorla – Julius No, e dell’attrice inglese Zena Marshall per il ruolo di Miss Taro. Né possiamo dare troppo peso all’assenza di coscienza ecologica, grazie alla quale il protagonista non si fa riguardo a far saltare in aria un’installazione nucleare in mezzo al mare. Ciò che non può essere derubricato a ‘segno dei tempi’ invece è l’atteggiamento condiscendente riservato ai personaggi non britannici, come l’ingenuità dei Giamaicani pronti a credere all’esistenza di un drago (che lascia impronte da cingolato). Peggiore è il trattamento riservato a Miss Taro: dopo aver capito che la donna è una spia del Dr. No, Bond la segnala alle autorità, e nell’attesa di consegnarla alla polizia non disdegna di concedersi un altro rapporto intimo con lei, ignara di essere già stata denunciata.
L’atteggiamento dell’ ‘uomo che non deve chiedere mai’ è ovviamente uno degli aspetti più affascinanti del mito dell’Agente Segreto per il pubblico maschile, ma è anche il problema culturale più rilevante del fenomeno Bond, che denota un orientamento maschilista che solo molto più tardi si è cercato di mitigare.
La Svizzera Ursula Andress non lo poteva ancora sapere, ma sarebbe stata la prima Bond girl, capostipite di una serie di personaggi femminili dai nomi improbabili (‘Honey Ryder’) e dal destino segnato: nel migliore dei casi, concludere il film tra le braccia di James Bond, e poi scomparire per sempre; in alternativa, fare da vittima sacrificale ben prima della fine della storia. Andress, il cui accento era probabilmente troppo marcato, venne doppiata dall’attrice di origini tedesche Nikki Van Der Syl (come peraltro tutte le altre attrici nel film ad eccezione di Zena Marshall e Lois Maxwell/Moneypenny – un’altra bizzarra istanza di sessismo dietro le quinte, orientata a rendere i personaggi ‘più sensuali’).
Che piaccia o no, l’apparizione di Honey Ryder tra le onde del Mar dei Caraibi, armata di conchiglie e coltello, resta una delle sequenze più memorabili del film.
Dr. No mette anche Bond nella posizione di sedotto e non solo di seduttore: la sua prima conquista in assoluto è l’affascinante giocatrice Sylvia Trench (Eunice Gayson), che avrebbe dovuto essere una sorta di ‘fidanzata fissa’ dell’agente segreto, ma che venne dimenticata già dopo il secondo film. Il personaggio si presenta come ’Trench… Sylvia Trench’, che porta il protagonista a rispondere con un analogo ‘Bond… James Bond’, che resterà una delle sue frasi chiave.
Il primo film della serie presenta quindi già molti degli elementi che diventeranno ricorrenti, talvolta con qualche aggiustamento:
- il celeberrimo James Bond Theme scritto da Monty Norman e arrangiato da John Barry è naturalmente già presente
- il film si apre già con la celebre ‘gunbarrel sequence’, con la spia che cammina inquadrata all’interno di una canna di pistola, si volta e spara; il protagonista è lo stuntman Bob Simmons. La sequenza però è accompagnata da una serie di suoni elettronici, ed il theme inizia solamente dopo lo sparo
- i titoli di testa non hanno una vera e propria theme song: c’è una canzone ricorrente, Under the Mango Tree, scritta da Monty Norman e cantata da sua moglie Diana Coupland, ma non la si ascolta all’inizio del film; i credits sono invece stranamente costituiti da tre parti: prima una sequenza animata di punti e riquadri con la musica del James Bond Theme, poi una parte solo ritmata con silhouette colorate (che ci ricorda un po’ l’inizio di Mulholland Drive), infine le ombre dei tre ciechi accompagnate dal Kingston Calypso di Byron Lee and the Dragonaires, che ci conducono all’inizio del film vero e proprio
- a Londra, all’MI6 facciamo la conoscenza di Miss Moneypenny, M (Bernard Lee), ed il ‘maggiore Boothroyd’, non ancora ribattezzato ‘Q’, qui interpretato da Peter Burton: la sua dotazione di gadget per il momento si limita ad una pistola Walther PPK, in sostituzione della Beretta, preferita da Bond
Curiosità:
- la scena della tarantola è molto diversa dall’attacco notturno descritto nel libro, dove la minaccia era costituita da millepiedi velenosi. Il ragno fu considerato più interessante dal punto di vista cinematografico, ma gli artropodi ebbero la loro rivincita quando George Lucas scrisse la scena dell’attentato a Padmé Amidala ne L’Attacco dei Cloni
- l’attore che interpreta Quarrel è John Kitzmiller: Kitzmiller, arruolato nell’esercito USA, arrivò in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e vi si stabilì. Qui intraprese, per caso, la carriera d’attore, debuttando in Vivere In Pace, di Luigi Zampa, e procedendo poi a lavorare con Alberto Lattuada, Federico Fellini, Sergio Corbucci, arrivando a vincere il premio per la Miglior Interpretazione Maschile al Festival di Cannes del 1957, con il film jugoslavo Dolina Miru (La Valle della Pace) di France Štiglic.
Debriefing:
- vittime di Bond: 8 confermate, due incerte, di fatto molte di più causate dall’esplosione finale
- altre vittime: 3 più un suicidio tramite pillola di cianuro
- amoreggiamenti: 3 (Sylvia Trench, Miss Taro, Honey Ryder)
- gadget: solo una pistola ed un contatore geiger
- tempo trascorso nel Regno Unito: 11 minuti circa (durata totale: 1 ora e 50 minuti)
- 🇬🇧 Brit Factor 🇬🇧 : 74%
- Paesi visitati: Regno Unito, Giamaica
- the Love Boat: Dr. No si chiude con un momento di intimità a bordo di un’imbarcazione, primo di una lunga serie di finali simili
- riconoscimenti: il Golden Globe assegnato ad Ursula Andress come ‘Attrice debuttante più promettente’ (a pari merito con Tippi Hedren – per Gli Uccelli – ed Elke Sommer – per Intrigo a Stoccolma)
James Bond Non Muore Mai tornerà in Dalla Russia con Amore.
Fonti: Wikipedia, lo spoiler special podcast di Empire, il libro Some Kind Of Hero* di Matthew Field e Ajay Chowdhury, IMDB, James Bond Wiki, MI-6 HQ. Il conteggio delle vittime è stato realizzato durante la visione del film e verificato con quello di All Outta Bubblegum. Il Brit Factor è un indice calcolato sulla base delle nazionalità delle persone coinvolte e sulle location del film, nella realtà e nella storia.
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