Scorsese critica i cinecomics Marvel che non sono cinema ma spettacoli da theme park, scatenando l’isteria nerd e ricevendo il plauso di Francis Ford Coppola
Durante l’anteprima europea di The Irishman tenutasi a Londra in occasione del Closing Gala del BFI London Film Festival 2019 – ecco la nostra recensione in anteprima italiana di The Irishman – il leggendario filmmaker Scorsese ha criticato i cinecomics Marvel, definendoli spettacoli di intrattenimento da theme park piuttosto che cinema, dichiarazioni che invero il cineasta ripete almeno dal 2014, quando ha espresso forti perplessità sul futuro del cinema e l’importanza per un filmmaker di mantenere accesa la propria luce interiore, elogiando colleghi come David Fincher, i fratelli Coen, Paul Thomas Anderson, Wes Anderson, Richard Linklater, Alexander Payne e James Gray.
Attraverso la memorabile conferenza stampa del BFI London Film Festival 2019 incentrata sul valore della narrazione e della umanità dei personaggi di The Irishman, Scorsese traccia una linea di confine netta tra il recente passato e il presente del cinema, che ha visto Netflix, la major più innovativa dell’industria cinematografica, scommettere su un cult che altre case di produzione non hanno avuto il coraggio di produrre, troppo impegnate nell’investire in blockbuster derivati da popolari franchise e nell’acquisizione di nuovi brand invece che nella realizzazione di arte cinematografica.
Le nuove tecnologie e i nuovi canali di distribuzione offrono esperienze utente prima inimmaginabili, e l’evoluzione del cinema genera opportunità uniche in termini di crossmedialità e l’aumento dei generi di prodotti filmici a disposizione.
L’evoluzione degli effetti speciali, che da un lato ha reso possibile la realizzazione di The Irishman attraverso sofisticate tecniche di de-aging, ha contribuito nel recente passato ad un’irrefrenabile proliferazione di immagini su schermi e device di ogni tipo, superando quei limiti tecnologici con cui ad esempio si scontrava negli Anni ’70 George Lucas nel cercare di trasformare i suoi sogni in realtà con Star Wars.
L’evoluzione degli effetti speciali ha di fatto ufficializzato la nascita del genere cinecomic – indipendentemente dalla fazione di appartenenza Marvel, DC Comics, Dark Horse, Hasbro, Mirage Studios etc. – impoverendo la profondità dell’esperienza cinematografica delle nuove generazioni al cinema, resa meno speciale a fronte di un lussurioso bombardamento di immagini ed effetti speciali visivi, tecniche definite da Scorsese superficiali in termini artistici e causa di impoverimento della narrazione.
Anche Ridley Scott – da noi incontrato al BFI London Film Festival in occasione della presentazione di Dove la terra trema con Alicia Vikander e Riley Keough nelle vesti di produttre – in tempi non sospetti ha definito il cinema recente prettamente scadente.
Gli fa eco proprio in questi giorni Francis Ford Copppola, che ha definito Scorsese troppo buono nel giudicare i cinecomics prodotti che non sono cinema: per Coppola i cinecomics sono spregevoli, non si capacita di come il pubblico non si stanchi di vedere sempre lo stesso film ripetuto all’infinito seppur con titoli diversi nelle varie trasposizioni, laddove il cinema dovrebbe insegnare qualcosa, arricchire l’esperienza personale dello spettatore, illuminare, essere fonte d’ispirazione e trasmettere conoscenza.
Al di là delle fazioni e della differente profondità che esiste tra gli stessi cinecomic, dovuta in parte anche alle diverse sfaccettature dei supereroi raccontati sul grande schermo oltre che dalla visione artistica degli Studios, si possono guardare al cinema e collezionare in home video gli interi Marvel Cinematic Universe e DC Comics Extended Universe come chi vi scrive ed essere comunque pienamente d’accordo con il leggendario Martin Scorsese nel momento in cui definisce i cinecomics prodotti di intrattenimento e non cinema in senso artistico, di narrazione e umanità dei personaggi.
Gli amanti dei fumetti conoscono quanto le opere originali siano infinitamente preferibili alle loro declinazioni cinematografiche – per motivi di medium, possibilità e tempo – in termini di narrazione e profondità di storie e personaggi.
Ma cinema significa anche, come ammesso dallo stesso Scorsese, pluralità di generi, e opere come Avengers: Endgame, seppur con tutti i limiti che la contraddistinguono anche all’interno dello stesso MCU, rappresentano un incredibile spettacolo visivo, specialmente se vissuto all’interno di una sala IMAX in grado di offrire un’esperienza cinematografica unica, coinvolgente ed immersiva che rimane addosso come brividi sulla pelle.
L’isteria nerd che è esplosa alle dichiarazioni di Scorsese, che è poi la stessa che ieri reclamava l’Oscar a gran voce per Avengers: Endgame e Robert Downey Jr. e oggi sta osannando Joker ergendolo a “capolavoro assoluto”, deriva temiamo da uno scarso interesse per la cultura cinematografica, figlia a sua volta di una passione per il cinema vissuta in maniera differente, che si traduce ad esempio nel vedere Joker o Avengers: Endgame senza avere mai visto Re per una Notte e Taxi Driver di Martin Scorsese, Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, Essi Vivono di John Carpenter, Assassini Nati di Oliver Stone, La Conversazione di Francis Ford Coppola o avere mai letto 1984 di George Orwell, The Killing Joke, Watchmen e V for Vendetta di Alan Moore.
La Generazione Z dei Post-Millennials che pecca di curiosità e non ama riscoprire, che non guarda Humphrey Bogart o John Schlesinger, dalle preferenze fragili e spesso intangibili che nascono, crescono e si disperdono tra i social network, la generazione confortata dagli editori che si premurano di indicare loro l’esiguo tempo di lettura necessario per un articolo per non “spaventarli” e farli desistere dal gravoso impegno, la generazione che ama essere Senza Pensieri in una società che, se ci si pensa, dà molti più pensieri di una volta.
E allora, che si alzi il sipario e theme park sia.