Judy recensione del film di Rupert Goold con Renée Zellweger, Jessie Buckley, Finn Wittrock, Rufus Sewell, Michael Gambon e Bella Ramsey presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma
Quante tipologie di droghe sapreste indicare senza rimuginarci su troppo? Tre? Dieci? A prescindere dalla riposta, in ogni caso ne avreste sicuramente tralasciata qualcuna estremamente grave e allo stesso tempo comune. Le addictions rappresentano infatti un tema caldissimo nella società contemporanea che va di pari passo con un attenzione sempre maggiore verso la salute mentale dell’uomo e delle manifestazioni del suo stare al mondo.
E mezzo secolo fa come andavano le cose? Forse nel secolo scorso c’era altro a cui pensare, bisognava lavorare, lavorare e ancora lavorare per plasmare il mondo che oggi conosciamo anche a costo di mettere da parte sè stessi. E’ un pò quello che succede in Judy, l’atteso film di Rupert Goold presentato alla Festa del Cinema di Roma che racconta gli ultimi sei mesi di una stella precipitata dal luminoso firmamento hollywoodiano, Judy Garland – interpretata da una credibile Renée Zellweger – cogliendo l’occasione per parlare di realizzazione personale ed esasperazione fisica e mentale.
Sì, perchè oltre ai fatti presi in prestito dalla cronaca riguardante la prematura scomparsa dell’attrice protagonista de Il mago di Oz o La parata delle stelle, il regista inglese non fa mistero di voler concentrarsi sul come si è arrivati ad un tramonto così disastroso dopo un vita così sfavillante. E’ in questo senso che vanno lette le sequenze disseminate nel presente della storia raccontata, avendo la possibilità di sfruttare l’eco di una star per descrivere la droga che tanto bene conosciamo oggi. Materialmente non cambia molto, c’è alcool, ci sono le pasticche, c’è il rifiuto di assimilare cibo, c’è una quantità impressionante di sigarette fumate ma stavolta c’è qualcosa di più sinistro. La sistematicità con cui la bambina, e poi la donna, viene portata in questa spirale distruttiva ricorda in maniera discretamente inquietante il precipizio in cui la nostra tanto amata società contemporanea sprofonda.
Judy è allo stesso tempo la cronaca di una tragedia annunciata e il prodromo di un orizzonte sociale che dal test sulla ristrettissima cerchia hollywoodiana è stato poi riprodotto sulla scala della vita di tutti i giorni. Forse per questo motivo la Judy-Zellweger nell’ultima scena del film chiede al pubblico l’ultima grande dose di dopamina, fatta di applausi e acclamazioni scroscianti, chiedendo al pubblico di non essere dimenticata ora che la sua aura è quasi del tutto svanita.
La Garland è stata bambina prodigio e volto iconico di un’epoca sacrificando la sua integrità fisica e mentale, come noi oggi siamo portati ad ottenere i migliori risultati nel minor tempo possibile. Nel primo caso il film ci mostra come è andata a finire, e per quanto riguarda noi?