Chiara Ferragni Unposted tra recensioni negative della critica e valore dell‘influenza: il documentario di Elisa Amoruso come spunto sulla rivoluzione digitale che ha cambiato la comunicazione e la cultura popolare
Sarò la Chiara che vorrei.
Chiara Ferragni
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e uscito come film evento per tre giorni al cinema, il documentario su Chiara Ferragni distribuito da 01 Distribution ha incassato 1,6 milioni di euro, oltre mezzo milione di euro al giorno registrando un’affluenza più unica che rara nel panorama del recente cinema italiano.
L’opera scritta e diretta da Elisa Amoruso, tra i migliori film italiani dell’anno per incassi, è stata unanimemente accolta in maniera negativa dalla critica italiana, con continui e nemmeno troppo velati riferimenti all’ottusità delle immagini che vengono continuamente trasmesse sulla “bolla” dei social media.
Diversi i dubbi che personalmente mi sono sorti: la capacità degli addetti ai lavori – società di distribuzione, uffici stampa o agenzie di comunicazione – di rintracciare il valore in una comunicazione sui canali digitali, sia essa pubblicata su un sito web di proprietà piuttosto che su un social network gratuito di terze parti, la capacità di discernere tra sistemi neutrali che rispondono a determinate regole come i motori di ricerca e sistemi filtrati, chiusi e autoreferenziali come il social media YouTube, la capacità di riconoscere il pubblico di riferimento, di tirare le somme ossia svolgere un rendiconto delle strategie promosse al fine di comprendere appieno chi, quanto e come genera influenza, culturale e/o verso il prodotto che si intende promuovere.
Rimane esclusa la critica specializzata, che non ha il compito né le capacità per individuare il valore di una comunicazione sui canali digitali, i cui preconcetti in materia tuttavia hanno probabilmente pesato in maniera particolare nell’accoglienza del documentario su Chiara Ferragni, perché se non si comprende un fenomeno culturale è forse difficile poterne scrivere, soprattutto se non si ha l’umiltà di saper ascoltare.
Sono sempre stata ossessionata dal diventare la versione migliore di me stessa.
Chiara Ferragni
Beninteso, anche il nostro Andrea è stato critico nella sua recensione di Chiara Ferragni – Unposted, ma ha saputo distinguere nettamente il piano del documentario dal piano personale sul mito dell’imprenditrice digitale italiana più famosa al mondo.
In una cinesfera che stenta a distinguere la differenza tra clickbait e comunicazione di valore, tra “Mi piace” a foto di gatti, panda e panorami acchiappa-like su Facebook e visite ad un sito web di proprietà, tra “Mi piace” a foto di celebrità svestite e clic verso una pubblicazione, tra fake followers e utenti reali, tra follower di una pagina gratuita di un social network e lettori di un magazine di proprietà, tra il calendario di nudo di una sexy vip della trash TV ed un articolo di cinema, tutti e nessuno influenzano e creano opinione in base alle simpatie, al “sentito dire” o alla condivisione del momento.
Influencer diventa dunque sinonimo di tutto e niente: dei modelli e degli aspiranti tali, degli attori e degli aspiranti o pseudo-tali, degli scrittori e degli aspiranti tali, in un curioso meccanismo (d’agenzia) che vede l’influencer promesso aprire un account su Instagram – drogato con una buona base iniziale di fake followers – scrivere un libro possibilmente autobiografico e strappare una partecipazione televisiva o cinematografica. Un nuovo influencer viene dunque al mondo.
Per non parlare di YouTube, nato (e quasi morto) con la musica, social media sempre più ai margini della comunicazione digitale, con gli YouTuber considerati capaci di dettare trend seppur spesso incapaci di influenzare persino il pranzo di casa, su una piattaforma chiusa e autoreferenziale che si autoalimenta sin dai meccanismi di ricerca condizionati e censurati, YouTuber (fortunatamente) in via d’estinzione in favore degli influencer.
Se gli YouTuber (almeno) parlavano, agli “influencer” spesso non è più richiesto: immagini bellissime e cariche di sex appeal regnano sul social network visivo Instagram, strumento per sua natura ai margini della cinesfera che ha l’esigenza di scrivere e raccontare cinema, per lo più utilizzato per gli eventi live, alimentato a tempo perso con foto di ricorrenze e celebrità o unboxing di prodotti, sottoutilizzato anche per l’investimento in termini di tempo richiesto per la cura di grafica, foto ed immagini che non viene ricompensato né tradotto in lettori verso i siti cinematografici.
Discorso opposto per le celebrità, che su Instagram alimentano e rinnovano la propria popolarità attraverso una comunicazione più diretta e personale con gli utenti, o per settori specifici proprio come quello dell’industria della moda.
Chiara Ferragni, l’ultima blogger
In questo contesto, Elisa Amoruso con Chiara Ferragni – Unposted racconta attraverso testimonianze ed immagini il valore di Chiara Ferragni come influencer internazionale in grado di accorciare le distanze tra il mondo della moda e la gente reale, facendo si che le persone comuni non vedano più la moda come un qualcosa di irraggiungibile, rompendo i rigidi schemi tra la vita reale e la realtà della moda e creando un rapporto diretto tra il consumatore e il prodotto.
Da New York ad Harvard, da Parigi a Milano Louis Vuitton, Dior, Fendi, Ferretti, Moschino, Diane von Fürstenberg, Forbes e Harvard Business School riconoscono il valore di colei che oggi è la personalità italiana più famosa nel mondo, Chiara Ferragni, pioniera della rivoluzione digitale, capace di entrare nel mondo della moda e farlo suo da protagonista, ridefinendone i confini e quelli del fashion business, in grado di supportare una pressione mediatica costante da “pagina pubblicitaria vivente” divenendo figura aspirazionale e modello per milioni di persone.
Qualsiasi cosa tu voglia fare puoi farla veramente da sola, più che contare su qualsiasi altra persona.
Chiara Ferragni
Attraverso le pagine del suo blog The Blonde Salad – fondato nel 2009 ed aggiornato fino al 2014, prima che i cosiddetti outfit blogs diventassero superati proprio da Instagram – Chiara Ferragni ha alimentato la fiamma crescente della sua passione per la moda, trasformando il suo sogno in realtà con concretezza e determinazione più uniche che rare, conquistando la prima fila in tutte le passerelle che contano e alzando sempre l’asticella dei suoi traguardi, entrando a far parte di quel mondo che le avrebbe permesso di esprimersi e di diventare la persona che immaginava e desiderava di essere nel profondo, costruendosi con capacità, spontaneità, professionalità e determinazione un network ampio e prestigioso che nutre ammirazione ed interesse nei suoi confronti.
Non basta essere blogger per conquistarsi la prima fila, né tantomeno bastano i social network utilizzati da Chiara durante la sua carriera quali DuePuntoZero, Netlog, Flickr o Instagram: da questo punto di vista Chiara Ferragni – Unposted è molto chiaro, dunque apprezzabile, nel trasmettere il senso della portata unica e straordinaria della carriera dell’ancora giovanissima Chiara Ferragni.
Uno, nessuno e centomila influencer
La chiarezza del documentario della Amoruso aumenta i dubbi circa la capacità della critica ma soprattutto degli addetti ai lavori di riconoscere il valore e l’impatto di un influencer o presunto tale e del ruolo che può giocare o meno influenzando il sistema.
Se le recensioni negative della critica sono a questo punto abbastanza indirizzate negativamente a causa di una scarsa comprensione del fenomeno, che riduce tutto all’avere 18 milioni di follower su Instagram, pericoloso e fuorviante è il meccanismo di riconoscimento sociale di un influencer, considerato tale perché magari ha 1 milione di follower su Instagram, e che secondo questo criterio avrebbe una influenza pari ad un diciottesimo di quello di Chiara Ferragni, laddove la Ferragni può guadagnare realmente decine di migliaia di euro a post mentre gli influencer che ci vengono propinati quotidianamente da agenzie e salotti privilegiati sono da ascriversi più a personaggi in cerca d’autore che non ad opinion leader in grado di influenzare il pubblico di riferimento.
Tornando alla nostra cinesfera, duole infatti constatare che le più grandi società di distribuzione in Italia ritengano che presunti influencer nel campo della moda o di altra imprecisata appartenenza possano essere un veicolo valido per promuovere un’uscita cinematografica di Natale, perché ciò mette a nudo una confusione assoluta, infelice come l’iniziativa dell’istituto telematico che lancia il corso di Scienze della Comunicazione con indirizzo Influencer (che non contempla ovviamente il marketing tra le materie di studio…) che viene pubblicizzato come se si trattasse di una rivoluzione culturale, pericolosa come l’uscita del Codacons che addita Chiara Ferragni come modello diseducativo che non dovrebbe essere mostrato e alimentato dalla televisione pubblica in occasione del Festival di Sanremo.
In un contesto digitale perennemente in divenire, dove i luoghi di discussione sono in via di estinzione, dove gli editori si inchinano ai tempi di lettura diventando complici dell’analfabetismo funzionale, dove i “Mi piace” a gatti, panda e foto sensazionalistiche vengono considerati di valore e la cinesfera viene piegata alle micro-news e alla corsa alla quantità rinunciando alla qualità dei contenuti, Chiara Ferragni – Unposted è quasi un miracolo, prezioso nell’entrare in una realtà a noi lontana per mostrare il valore unico di una imprenditrice, blogger, modella e designer cha ha rivoluzionato il mondo della moda, superando le barriere all’entrata di un settore chiuso e snob, scomodo perché mostra il volto e l’impatto di una vera influencer tra centomila personaggi che, da sempre in fondo, aspirano ad entrare nel mondo dello spettacolo. Ma non chiamateli influencer.
Nessuno ha mai creato me se non me stessa.
Chiara Ferragni