Dark 3 recensione terza stagione serie TV Netflix di Baran bo Odar e Jantje Friese con Louis Hofmann, Andreas Pietschmann, Julika Jenkins, Lisa Vicari, Oliver Masucci, Karoline Eichhorn, Maja Schöne, Mark Waschke, Moritz Jahn e Jördis Triebel
Siamo fatti per stare insieme. Non credere mai che non sia così.
(Jonas in Dark)
Un finale che farà discutere, che sfiora pericolosamente l’epilogo di Lost e accarezza timidamente le corde di Interstellar, per il capolavoro creato e diretto da Baran bo Odar e dallo sceneggiatore Jantje Friese che con Dark entrano nella storia della serialità regalandoci la migliore serie TV dell’ultimo decennio.
La terza stagione ci ha messi a dura prova, sulla falsariga di parte della seconda stagione che seguiva al tremendamente emozionante esordio del 2017 capace di conquistarci con la sua storia, le sue ambientazioni e i suoi personaggi, da Jonas (Louis Hofmann) a Ulrich (Oliver Masucci), da Claudia (Julika Jenkins) a Martha (Lisa Vicari).
Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che non sappiamo è un oceano.
(Dark)
Il fascino della prima stagione aveva in parte lasciato il passo all’intreccio cavernoso e profondo della seconda, in una narrazione che diventa quasi asfissiante nel suo densissimo epilogo, a fronte beninteso di una mitologia solidissima ed inattaccabile, mai diluita o abbozzata bensì sempre lucida, profondissima e cerebrale, sempre in grado di rispondere ai nostri più disperati dubbi, senza nulla improvvisare o lasciare irrisolto, frutto di un lavoro di scrittura incredibilmente viscerale e brillante con il quale Odar e Friese sono riusciti a non temere il confronto nemmeno con J.J. Abrams e Damon Lindelof, dimostrandosi anzi più ossequiosi e virtuosi nella visione e gestione del loro meraviglioso universo.
Tra paradossi temporali – il gatto di Schrödinger – e buchi neri, elucubrazioni mentali sulla meccanica quantistica e dubbi esistenziali sulle dinamiche del macrocosmo e le innumerevoli realtà che potrebbero esistere in parallelo, tra scienza e fantascienza, tra storia ed azione, tra vita e morte, tra speranza ed ossessione, tra felicità e rimpianti, tra luce e tenebra, tra amore e odio, l’incredibile viaggio di Dark in bilico tra la salvezza del Paradiso e l’annichilimento dell’oscurità giunge al termine, lasciandoci ad interrogarci se stiamo vivendo nel giusto mo(n)do o se stiamo costruendo un destino sbagliato.
Una persona vive tre vite: la prima termina con la perdita dell’ingenuità, la seconda con la perdita dell’innocenza e la terza con la perdita della vita stessa.
(Dark)
Cercare di liberarci dal nostro destino e dal dolore di un futuro che riteniamo sbagliato oppure usare al meglio il dono speciale che è la vita stessa, lasciandoci alle spalle gli errori commessi e rendendoci conto che non siamo un io accanto a tantissimi altri io bensì minuscole parti di un infinito tutto, protagonisti di un destino tessuto insieme al prossimo, seguendo un filo rosso come il sangue che intreccia tutte le nostre azioni scandite dai giri dell’arcolaio del tempo.
La narrazione della terza stagione inizia come la seconda ma con un’inversione di ruoli e di fazioni tra il bene e il male, con i nostri protagonisti che cercano di fuggire all’apocalisse che incombe su di loro, un destino apparentemente inappellabile che come una mano invisibile nega l’illusione del libero arbitrio nel cammino che porterà alla redenzione o dannazione dell’anima.
Gli affari di cuore non si possono spiegare. Lui fa ciò che vuole.
(Dark)
Dark ci interroga nel profondo, chiedendoci se prenderemmo le stesse decisioni se sapessimo come andrà a finire e dove ci condurrà il nostro viaggio, se saremmo in grado di sfuggire al nostro destino o se ciò che risiede nel nostro profondo ci condurrebbe sempre alla stessa meta: che importanza avrebbe dunque quale strada scegliamo se alla fine del viaggio incontreremo sempre noi stessi?
In un trip a tratti insostenibile che scoraggia il binge watching del pubblico casuale Baran bo Odar e Jantje Friese ritraggono l’essere umano come una creatura strana, eternamente schiava dei suoi sentimenti, prigioniera perché non libera nella sua volontà, a bordo di una nave che rappresenta il suo dolore – dolore che ne forgia il carattere – e guidata dalla bussola del desiderio che motiva tutte le sue azioni.
È certo che l’uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole.
(Dark)
Nella splendida coralità dei suoi personaggi, tutti intensi, tutti affascinanti, tutti minuziosamente ritratti, l’epilogo di Dark pone i nostri protagonisti dinanzi ai sacrifici che dovranno fare per spezzare il ciclo dei trentatré anni e sottrarsi alla terribile insensatezza delle loro vite, apparentemente racchiuse in un loop infinito in cui principio e fine sono parole che descrivono un momento uguale a se stesso.
Tra scienza e fantascienza, filosofia e religione – Dio non gioca a dadi, ha un piano per tutti noi – Dark offre un indimenticabile ritratto dell’umanità e della verità delle nostre azioni ed emozioni, che spesso nelle nostre vite cerchiamo di reprimere ma che troverà sempre un modo per riaffiorare, fino a non poterne più, arrivando a trasformare la nostra verità in menzogna per sopravvivere, scegliendo di dimenticare pur di andare avanti in un cammino che diventa sempre più distorto.
Il principio è la fine e la fine è il principio.
Ogni cosa è connessa: il futuro, il passato e il presente.
(Dark)
Come un sorprendente ed indimenticabile puzzle la verità di Dark si dipana davanti ai nostri occhi, lasciandoci più consapevoli di essere viandanti dell’oscurità in un mondo dove l’io troppo spesso prevale sul noi tutti, dove il dolore troppo spesso distrugge anziché costruire, dove la menzogna è troppo spesso la strada più facile e conveniente da percorrere, dove la verità sembra essere sempre più spesso il vessillo di chi viene considerato pazzo perché ha il coraggio di inseguire il proprio destino anziché farsi trascinare da esso, spezzando il loop disegnatoci addosso da altri che sembra imprigionare molti di noi sin dalla nascita.
Allora teniamo la luce accesa, teniamo alti i nostri sogni infranti, spezziamo le catene che sembrano imprigionarci nell’oscurità, consapevoli di esserci rivisti in almeno uno dei meravigliosi personaggi di Dark e che non potremo più fare a meno di pensare all’esperienza che la serie ha rappresentato per noi, riascoltando magari alcune delle canzoni simbolo – da Goodbye di Apparat a Melody X di Bonaparte, passando per Irgendwie Irgendwo Irgendwann di Nena e Familiar di Agnes Obel, ed ancora A Quiet Life di Teho Teardo & Blixa Bargeld ed Enter One di Sol Seppy – che hanno caratterizzato questo strepitoso ed indimenticabile viaggio, destinato a rimanere immortale nella storia della serialità.
Non conosciamo neanche la metà dei misteri di questo mondo.
Siamo viandanti dell’oscurità.
(Dark)