Crash recensione film di David Cronenberg edizione restaurata 4K integrale con James Spader, Deborah Kara Unger, Holly Hunter, Elias Koteas e Rosanna Arquette
Il 16 luglio grazie a Movies Inspired torna sui grandi schermi Crash, il cult degli anni ’90 di David Cronenberg, con un restauro in 4K che abbiamo potuto vedere in anteprima.
Gran Premio della Giuria di Cannes 1996 «per l’originalità, il coraggio e l’audacia» (frase celebre dell’allora presidente Francis Ford Coppola), Crash è uno spartiacque assoluto nella storia del cinema americano (per meglio dire nordamericano) contemporaneo: arriva in un’epoca che ha ormai visto di tutto ma che continua a scandalizzarsi, divide ma riesce a farsi amare alla follia dai fan del cineasta canadese.
Sono premesse, queste, fondamentali per introdurre il film più spinto ed erotico di David Cronenberg, il maestro del “body horror”, termine che gli è stato affibbiato decine di anni fa e che ha sempre cercato di scrollarsi di dosso presentando molto di più che semplici deformazioni o mutilazioni di carni umane. È un tipo di cinema il suo dove il corpo e la mente sono interconnessi e inseparabili, fatto di perversioni interne recondite e soppresse che influenzeranno poi il regista giapponese Shin’ya Tsukamoto, dove non esiste un aldilà, dove primeggia la voglia di mettere in scena l’amore per la vita o meglio dove è palese la pulsione, di fondo, del voler vivere – come in Crash e come poi sarà ne La promessa dell’assassino del 2007, noir ambientato a Londra con un eccezionale Viggo Mortensen dall’accento russo che vuole riconoscersi e al contempo esporsi come essere umano nuovo anche se ancora portatore di quei tatuaggi che sono il ricordo del passato e che dovrebbero identificarlo per sempre come strumento nelle mani della mafia – e poi la psichiatria, la psicopatologia (Spider, 2002), il controllo mentale e il tema del parto, ma anche il rapporto viscerale tra fratelli di sangue, il capitalismo e i problemi sociali, la metanarrativa hollywoodiana toccata nella sua ultima opera Maps to the Stars del 2014 (a nostro avviso suo ennesimo capolavoro), o i personaggi del passato che tornano per disonorare e contaminare il presente e di conseguenza il futuro in A History of Violence del 2004
(prima collaborazione con Mortensen).
Oppure la previsione su larga scala fatta con il magistrale Videodrome del 1983, che dipinge un futuro (oggi presente) influenzato totalmente dalla tecnologia e dalla pressione dei media, che ci porterà ad una nuova fase che sarà quella della disumanizzazione e desensibilizzazione alla pornografia e alla violenza a causa dell’aumento sporadico di intimità tra l’uomo e la tecnologia stessa. Opere legate tutte dal filo conduttore dell’erotismo che riesce ad inserirsi sempre nel migliore dei modi anche in un lavoro minore ed odiato dal pubblico come Veloci di mestiere del 1979, ma che in Crash diventa il tema portante dell’intero film.
Così come nel romanzo originale di James Graham Ballard del 1973, ritroviamo il produttore cinematografico omonimo dell’autore, che porta avanti un matrimonio atipico e disfunzionale e che necessita di continui rapporti sessuali extraconiugali voluti apposta per tenere alta la tensione sessuale tra i due – l’istruttore di volo da diporto sarà dunque il protagonista dei racconti erotici di lei e la montatrice dello studio sarà invece la sostituta di Catherine nei racconti di lui – fondamentalmente un romanzo esistenziale con i due amanti che si ritrovano alla fine. Ballard una notte ha un incidente che risulta fatale per l’uomo alla guida dell’altra auto ma che è al contempo il momento cruciale per avvicinarlo alla ormai vedova Helen Remington, seduta sul lato passeggero dell’auto, e che se dapprima odia e colpevolizza Ballard finirà poi per condividere con lui lo stesso trauma e la stessa sensazione di un incremento notevole nel numero di auto presenti sulle strade – l’interesse per gli incidenti stradali li avvicinerà all’arte degli spettacoli illegali realizzati da Vaughan, che è ossessionato dalle lesioni anatomiche risultanti dagli schianti automobilistici e che organizza repliche di famosi incidenti stradali nei quali alcune celebrità hanno perso la vita (da James Dean a Jayne Mansfield) – da qui in avanti il resto del film è un continuo carousel di perversione sessuale con scene etero e non (con il primo bacio del film che avviene tra due uomini e non meno di un quarto d’ora dalla fine, voluto dal regista per andare oltre la sessualità, e che vede i protagonisti perfettamente coscienti e sotto nessun effetto di droghe, come il romanzo avrebbe voluto) che provoca anche a livello subliminale attraverso le musiche dell’immenso Howard Shore (da sempre braccio destro di Cronenberg).
E’ una benigna psicopatologia che chiama a sé.
L’incidente stradale è una liberazione di energia sessuale.
(Elias Koteas è Vaughan in Crash)
Un connubio quello tra sesso e incidenti stradali che prima di vedere il film non ci si era mai posti in mente (forse), ma che risulta di immenso impatto emotivo durante e dopo la visione, un rapporto morboso tra l’Eros e il Thanatos, la pulsione di vita e quella di distruzione e morte, un’esperienza sinestetica che quasi ci fa sentire il freddo e il sapore del metallo, l’odore degli interni impregnati di sangue e liquidi corporali, lo spessore di ferite a forma di vulva quasi palpabili, tutto grazie alle già citate musiche di Shore, ma soprattutto per la fotografia di Peter Suschitzky (l’equivalente al grottesco della narrativa di Ballard, usate da Cronenberg per sostituire le metafore del libro), grazie al sound design studiato nel dettaglio, alla totale dedizione degli attori e alla coreografia delle scene di sesso che sono frutto di una regia magistrale e ponderata che si differenzia dall’operato di un qualsiasi altro regista, che avrebbe probabilmente optato per una regia da action movie, ma che in questo caso risulta essere una direzione anti-hollywoodiana, che non presenta mai slow motion e inquadrature da ogni lato e che dunque dà più importanza alle conseguenze e al significato dell’incidente più che al momento stesso dello schianto.
Per chiudere non c’è forse interpretazione migliore di quella che il regista stesso diede nel suo commento al film per l’uscita in DVD e che abbiamo seguito durante il re-watch in 4K:
L’unico significato che c’è nell’universo lo creiamo noi per noi stessi e questi personaggi hanno ormai perso le vecchie maniere e i vecchi significati di quello che volevano dire concetti come l’amore, il sesso, l’interazione sociale, agiscono quindi guidati dalle emozioni e nel momento dell’epifania dell’incidente automobilistico, realizzano che devono reinventare quei significati che dovrebbero essere alla base della vita e lo fanno attraverso le persone conosciute durante il film, perché noi esseri umani pensiamo di essere immutabili, pensiamo che ci siano cose che sono alla base della vita e che sono uguali per tutti ma ogni cultura le concepisce in modo diverso, niente è assoluto, tutto si può reinventare.
(David Cronenberg su Crash)