Little Joe recensione del film di Jessica Hausner con Emily Beecham, Ben Whishaw, Kerry Fox, Kit Connor, David Wilmot, Sebastian Hülk e Lindsay Duncan
Presentato al Festival di Cannes 2019, dove ha vinto il premio per la miglior attrice protagonista con Emily Beecham, Little Joe è un film estremamente particolare; una di quelle miscele molto promettenti che il cinema indipendente continua a sfornare senza sosta. Solitamente non molte di queste pellicole riescono a lasciare il segno. Little Joe è in grado di farlo? Scopriamolo in questa recensione.
Il concept di Little Joe è molto interessante. Un gruppo di ricercatori sta cercando di creare una pianta in grado di rilasciare un profumo che muti l’umore delle persone e le renda felici. La dottoressa Alice Woodward (Emily Beecham) sembra essere riuscita nell’intento, ma in poco tempo le cose iniziano a diventare un po’ sinistre.
Non ci addentriamo oltre perché non vogliamo rovinarvi la trama, ma confermiamo che diventa man mano sempre più interessante, fino al punto in cui non si riesce più a capire dove giaccia la verità.
Quindi, a livello narrativo, il film è estremamente ispirato, con anche un intreccio abbastanza convincente, però c’è qualcosa che non torna. La storia non riesce a catturare come (crediamo) speravano gli autori; è come se si stesse guardando la pellicola da dietro una barriera protettiva che non permette di farci immergere all’interno delle vicende.
La colpa, probabilmente, è della regia. Sobria ed elegante dall’inizio alla fine, la direzione di Jessica Hausner è ipnotica, stilisticamente immacolata, ma proprio questa attenzione per i movimenti di macchina, questa ostentazione dei carrelli laterali, fanno sembrare il racconto chiuso all’interno di un “serra”.
Forse era proprio il risultato che speravano di ottenere (cosa che risulta ancora più evidente dal reiterato soffermarsi su di un formicaio che il figlio di Alice tiene in una teca di vetro), ma il tutto risulta estremamente freddo e distaccato, così tanto da discostare anche l’immersione dello spettatore.
Un discorso simile va fatto per la direzione della fotografia, affidata a Martin Gschlacht, estremamente colorata e con dei toni che si legano bene tra loro, ma anche questa molto canonica, molto scolastica.
Ciò non significa che il film non sia visivamente valido. Tutt’altro. Sono presenti diverse sequenze degne di nota, specialmente quelle ambientate dentro la serra. Inoltre, anche la costruzione della tensione attraverso la componente visiva e sonora (inquietante al punto giusto) convince il più delle volte, senza sfociare nell’orrore più classico, ma mantenendo un certo tono di mistero per tutto lo svolgimento del film. Tuttavia, la sensazione finale è quella di un grande esercizio di stile che non convince mai appieno.