Un lungo viaggio nella notte recensione film di Bi Gan con Wei Tang, Jue Hang, Sylvia Chang, Hong-Chi Lee, Yongzhong Chen e Feiyang Luo
In un periodo in cui le sale non sono ancora tutte aperte e le Case di Distribuzione temporeggiano perché hanno paura di bruciarsi dei film, Movies Inspired sembra essere tra le poche a scommettere veramente sul rilancio del cinema. Una strategia legata come non mai alla qualità, un rischio che ci auguriamo venga premiato.
Proporre alla fine di luglio Un lungo viaggio nella notte è infatti un’opera meritoria, un salto nel buio che dovrebbe essere imitato per ridare slancio all’intero comparto. Del secondo film di Gan Bi si è parlato molto: un po’ perché Cate Blanchett ne ha tessuto le lodi, un po’ perché era tra gli inediti più attesi in assoluto, a testimonianza di un interesse sempre più concreto nei confronti del cinema orientale. Dopo aver convinto la critica già con Kaili Blues, scintillante esordio, il regista cinese spinge sul pedale delle ambizioni e prova veramente a lasciare il segno.
Un lungo viaggio nella notte è un noir in cui non ci sono certezze. Il racconto segue le memorie, che spesso si confondono con i sogni, del protagonista Luo Hongwu, il quale fa ritorno a Kaili a 12 anni di distanza da un delitto che ha commesso (o forse non è così?). Gan Bi crea un intreccio che disorienta chi guarda, muovendosi avanti e indietro nel tempo e viaggiando tra realtà e sogno. La componente narrativa perde gradualmente di interesse e lascia spazio a un gioco estetico e cinefilo che è allo stesso tempo affascinante e respingente. Al centro della trama, come in ogni noir che si rispetti, una femme fatale che cambia continuamente di segno e che esercita una forte attrazione nei confronti di Hongwu, alla ricerca di una donna che non riesce mai a trovare.
Dopo un corposo incipit che occupa circa la prima metà del film, Un lungo viaggio nella notte entra nel vivo quando il protagonista giunge a una sala cinematografica e si addormenta, forse precludendosi nuovamente la possibilità di incontrare la sua amata. Da questo punto, la regia si avventura in un magistrale piano sequenza di quasi un’ora che mette in scena quello che sembrerebbe, a tutti gli effetti, un viaggio nell’inconscio. Gan Bi chiede anche troppo al suo fruitore, rallentando all’inverosimile l’azione, inserendo continue suggestioni che disorientano a livello narrativo e dando l’impressione di credere troppo nel suo indiscutibile talento. La qualità della regia colpisce chi guarda ma, allo stesso tempo, non riesce a creare quel coinvolgimento emotivo che ci si aspetterebbe da un noir. Il suo è un film che ricorda per attenzione ai dettagli il cinema di Wong Kar-wai, senza però quel fuoco seppur trattenuto che divampa nelle opere del regista di In the Mood for Love.
Al termine si resta quindi con una strana sensazione, con l’impressione di aver assistito a qualcosa di tanto appagante a livello visivo quanto frastornante da un punto di vista narrativo. Considerando che stiamo parlando di un regista classe 1989, ci sentiamo di scommettere a occhi chiusi su di lui come probabile erede di una cinematografia che ha regalato nomi di primo piano nel corso degli anni, non ultimi Jia Zhangke e Diao Yi’nan. Al momento, per arrivare ai livelli di questi grandissimi, manca soltanto una maggiore attenzione anche ai dettagli narrativi. Davanti si prospetta però un futuro roseo.