Yellowstone 2 recensione della seconda stagione della serie TV ideata da Taylor Sheridan con Kevin Costner, Kelly Reilly, Luke Grimes, Wes Bentley e Cole Hauser
Quello di Taylor Sheridan è senza dubbio uno dei profili più interessanti del cinema contemporaneo. Dalla trilogia della frontiera di Sicario (2015), Hell or High Water (2016) e I segreti di Wind River (2017), sino a Soldado (2018); tra regia e sceneggiatura, la rilettura di generi della sua visione autoriale è figlia di un cinema d’altri tempi, sporco nelle atmosfere – quasi friedkiniane – con cui raccontare dell’America per mezzo dei topoi di generi in disuso. Yellowstone (2018-2020), in tal senso, s’inserisce come ipotetico apogeo di una carriera che procede verso questo sentiero, risultando – ad oggi – la più arguta e brillante declinazione del neo-western in chiave contemporanea.
Sheridan ci mette le idee, la passione, la cura del dettaglio. Il resto è merito di un Kevin Costner in grande spolvero che – ironicamente – nei primi anni Novanta si propose come rigurgito autoriale di una rediviva New Hollywood, grazie a un western revisionista. Quel Balla coi lupi (1990) – vincitore di 7 Oscar tra cui Miglior film e Miglior regia – che ha segnato uno dei più grandi esordi del cinema hollywoodiano al pari di Quarto potere (1941) di Orson Welles e Reds (1981) di Warren Beatty.
Se il sopracitato capolavoro di Costner univa l’immensità dei campi lunghi del cinema fordiano alla rilettura di genere tra Il grande sentiero (1964) e Piccolo grande uomo (1970) di Arthur Penn; Yellowstone opera in una sfumatura di genere decisamente differente. L’opera seriale di Sheridan – a modo suo – permette a Costner di lasciare ancora una volta il segno nell’immaginario western.
Nel cast della seconda stagione di Yellowstone – in onda su Sky Atlantic dal 2 settembre 2020 con un doppio episodio ogni mercoledì – figurano Kevin Costner, Kelly Reilly, Luke Grimes, Wes Bentley, Cole Hauser; e ancora Kelsey Asbille, Brecken Merrill, Gil Birmingham e Danny Huston.
Yellowstone 2: sinossi
Dopo gli eventi di chiusura del primo ciclo d’episodi, John Dutton (Kevin Costner) – capofamiglia e proprietario del ranch – è entrato in conflitto con Dan Jenkins (Danny Huston) e il presidente della riserva indiana Thomas Rainwater (Gil Birmingham). Per John sarà necessario coinvolgere ancora una volta la famiglia per tener testa a qualunque tipo d’insidia.
Kayce (Luke Grimes), Jamie (Wes Bentley) e Beth (Kelly Reilly) entreranno in guerra aperta contro chiunque vorrà minacciare il loro territorio. La posta in gioco per i Dutton si fa sempre più alta. Tra problemi di salute, nuovi nemici, rapporti turbolenti e pesanti battaglie per la difesa del ranch, non sarà facile mantenere l’equilibrio familiare.
Da Sicario a Yellowstone, Sheridan rilegge il cinema e alza il tiro con la seconda stagione
La visione autoriale di Sheridan s’inserisce in un momento particolarmente vivace per il cinema americano. Tra la rilettura del crime di S.Craig Zahler; dell’horror sociale di Jordan Peele (Noi); e degli high-concept sci-fi di Leigh Whannell (The Invisible Man), Hollywood sta rivivendo il piacere della sperimentazione narrativa. Sheridan funge un po’ da apripista per i sopracitati neo-autori. A partire dalla rilettura del genere crime tra Sicario e Soldado, tra protagoniste femminili “passive” – in balia degli eventi – e ambientazioni simil-western; sino alla connotazione razziale del racconto de I segreti di Wind River e all’America post-crisi economica de Hell or High Water.
In questo contesto narrativo urbano di cinema di genere, emerge la serialità di Yellowstone, nella rilettura della dicotomia cowboy/indiani, attualizzandola secondo le estetiche contemporanee. Se nel cinema di Ford tale dicotomia prendeva piede per ragioni d’appartenenza alla terra, nella seconda decade del nuovo Millennio la matrice alla base di un simile conflitto non può che essere di tipo economico.
Sheridan riparte da qui, dal volto segnato di Costner. Dalla costruzione di un immaginario solido nel solco de “il western è il cinema americano per eccellenza” di Baziniana memoria con cui raccontare dei Dutton e delle loro dinamiche familiari. Espediente con cui Sheridan parla dell’appartenenza alla terra, d’amore e d’amicizia; e ancora di retaggio e lascito, e del saper lasciare andare. Solo che – rispetto a una prima stagione “di prova” – a cambiare drasticamente è l’approccio di Sheridan alla materia narrativa.
La prima stagione di Yellowstone partiva con forti immagini ma con un dispiego dell’intreccio scenico decisamente più dosato, compassato con cui far entrare in confidenza lo spettatore con le dinamiche dei Dutton. Con la seconda invece, Sheridan opera un evidente cambio di rotta. Si riparte da nuova consapevolezza dell’ambiente scenico e dall’evoluzione degli archi di trasformazione dovuta agli eventi di chiusura della stagione precedente. Il ritmo è più teso; le atmosfere western ancora più fitte; e Sheridan gioca finalmente con i topoi del genere di riferimento – uno fra tutti l’approfondimento delle dinamiche “da ranch” dei mandriani dei Dutton.
“Sono un cowboy, nient’altro“
Nonostante il tanto “colore” del contesto scenico, il cuore del racconto di Yellowstone sono sempre loro: i Dutton e le loro brillanti caratterizzazioni. L’evoluzione delle dinamiche relazionali della famiglia Dutton è certamente la marcia in più della serie di Sheridan. Come l’unione padre/figlio John e Kayce di Costner e Grimes e il Rip di Hauser sempre più cowboy “compassato”, evocativo dell’epoca d’oro del genere; la Beth della Reilly sempre caotica e che lascia il segno; il Jamie di Bentley in cerca di redenzione e la sorprendente Monica della Asbille portavoce dell’anima culturale del racconto.
C’è tanta, tantissima carne al fuoco per il gioiellino seriale di Sheridan – giunto in Italia al secondo ciclo di episodi. La bravura di Taylor Sheridan sta proprio qui, nel rinnovare la sua creatura narrativa in tanti piccoli aspetti quasi impercettibili. Un evidente salto di qualità tra prima e seconda stagione, che ci fa ben augurare per il proseguo di Yellowstone; altri dieci episodi da gustare tutti d’un fiato.