Relic recensione film di Natalie Erika James con Emily Mortimer, Robyn Nevin e Bella Heathcote presentato al Trieste Science + Fiction Festival 2020
Sull’onda del rinnovato successo delle haunted house – vedasi Locke & Key e The Haunting – arriva in anteprima italiana al Trieste Science + Fiction Festival l’entità malvagia protagonista di Relic, lungometraggio d’esordio di Natalie Erika James, sponsorizzata e prodotta alla sua opera prima da nomi del calibro di Jake Gyllenhaal, Anthony Russo e Joe Russo.
Già alle prese con case infestate, incubi d’infanzia e complicati rapporti tra genitori in età avanzata e figli nel cortometraggio Creswick, premiato dall’Australian Writers’ Guild e al Nightmares Film Festival negli USA, Natalie Erika James ritorna ai temi a lei cari della fragilità in età senile, del senso autentico della famiglia e dell’importanza di accudire i propri genitori e nonni anziani per e con amore, responsabilità, riconoscenza e senso di restituzione di almeno una piccola parte dell’immenso bene ricevuto durante una vita intera dalle nostre precedenti generazioni.
Parabola del lento declino delle capacità di memoria e del pensare, vivida e provocatoria rappresentazione del deperimento del fisico, che si annerisce insieme alle pareti della vecchia e maledetta dimora di famiglia, Relic costruisce la sua mitologia sul “peccato capitale” dell’abbandono a se stesso di un antenato da parte dei suoi familiari che non si sono presi cura del padre e nonno in stato di bisogno, ereditandone così la maledizione.
La costruzione della tensione nell’opera prima di Natalie Erika James, tra elementi classici del genere quali lo sguardo profondo subito pronto a rivelarsi perfido dell’anziana proprietaria di casa (Robyn Nevin, vista in Matrix Reloaded e Matrix Revolutions), rumori sinistri, pareti che si scuotono ed immancabili momenti del terrore in vasca da bagno, cede il passo all’intimità familiare e al rinnovato sentimento di una madre e di una nipote per la madre e nonna affetta da Alzheimer e bisognosa di calore affettivo, attenzioni e sostegno.
Ma proprio quando la tensione ritorna sotto forma di terrore, paradossalmente Relic perde la sua carica emozionale virando su situazioni classiche, tra pareti che mutano e comprimono, il senso di intrappolamento all’interno della casa e la rivelazione del mostro, leggermente nonsense a causa di una mitologia che viene troncata e lasciata incompiuta anziché essere esplorata e ricostruita attraverso i vari indizi disseminati durante l’opera, dalle radici della maledizione alle oscure presenze che sembra si aggirino nella casa infestata, delle quali tuttavia non avremo riscontro né spiegazione.
Il lieto fine suggellato dalla potente inquadratura di tre generazioni che si cingono in un abbraccio di eterno amore e sostegno non riesce a compensare del tutto una narrazione claudicante, che sembra in corso d’opera cambiare pelle e perdere alcuni pezzi depauperando l’intreccio horror sin lì costruito a sfavore di un epilogo in calando.