Lo specchio recensione film di Andrej Tarkovskij con Margarita Terekhova, Filipp Yankovskiy, Ignat Daniltsev, Oleg Yankovskiy e Alla Demidova
Lo specchio, il regalo di Tarkovskij all’umanità
È il 1975 e l’URSS è impegnata da decenni in una guerra silenziosa e strategica dove la cultura, l’arte, il cinema e la letteratura trovano sempre meno spazio a causa della forte censura e del controllo dittatoriale. Tarkovskij, uno dei cineasti russi più famosi dell’epoca, va controcorrente e decide di pubblicare il suo film più enigmatico della sua filmografia e critico nei confronti della sua nazione: Lo specchio. Sapeva che il film sarebbe stato censurato in tutto il Paese, era conscio del fatto che non gli avrebbero più permesso di girare film, ma sapeva anche che non ci sarebbe stato miglior momento per provocare una forte spaccatura e urlare le proprie idee.
La trama non esiste, è un semplice pretesto a reggere il film: Aleksej, un uomo sul punto di morte, ricorda la sua vita. Ciò che viene mostrato però è qualcosa che va oltre una retrospezione del suo passato, Tarkovskij regala allo spettatore un viaggio attraverso l’esistenza, fatta di errori, scelte e cambiamenti.
I punti di maggiore focalizzazione sono l’infanzia, la vita matrimoniale e la storia del Paese attraverso gli occhi del protagonista e di altri personaggi, mostrati però non secondo una linea cronologica, ma tramite una narrazione frammentata e disunita. Aleksej ricorda quando era bambino, mentre aspettava, insieme a sua madre, un padre che non tornava mai, ricorda l’innocenza di quel periodo, il primo amore, le estati vuote piene di noia e spensieratezza. Rievoca il matrimonio fallito, che non ha mai funzionato e che ha dato alla luce un figlio di cui occuparsi, quasi come se fosse un peso e anche il brusco litigio avuto con la madre, che sembra ancora una ferita aperta. Sente sulla sua pelle le tracce di una guerra globale, logorante e piena di violente contraddizioni. Si guarda indietro mentre festeggia l’entrata trionfante a Berlino, ma dietro di lui non vede altro che distruzione e morte. È qui che Tarkovskij fa sentire maggiormente la sua voce ponendo una forte critica al comportamento del suo paese e delle atrocità di cui si è macchiato in nome di un ideale rivelatosi poi fallimentare.
Fin dall’inizio però si percepisce un’atmosfera atipica, un puzzle che non si riesce a completare. I suoi ricordi sono filtrati da qualcosa, da uno specchio che riflette ciò che si pone davanti a lui. È così allora che la madre e la moglie di Aleksej assumono le stesse sembianze, è così che il giovane Aleksej e il figlio che avrà anni dopo sono la stessa persona, dando vita alla conseguenza di una riflessione specchiata: ripetere, riflettere. Per questo il regista, oltre al lato umano, lascia spazio all’aspetto storico, perché anche la storia si ripete inesorabilmente e come l’uomo non riesce a rompere lo specchio, ciò che siamo stati si riflette nelle scelte future e il passato difficilmente abbandona la presa sul presente. Ma è avvenuto realmente quello che il film mostra o è tutto un sogno? Non importa, l’obiettivo non è rispondere a questa domanda, il focus è sull’altra faccia della medaglia, capire i passi che si sono fatti, guardarsi allo specchio per comprendere i motivi per cui si è fatto qualcosa.
Il film trascende la sua natura cinematografica, è un’esperienza totale. La messa in scena è anticonvenzionale e particolare: la macchina da presa è quasi immobile e quando si muove lo fa quasi a rallentatore, i suoi stacchi sono rari, segue e abbraccia fedelmente i personaggi per catturare il più possibile le loro emozioni, mentre in sottofondo i pensieri di un Aleksej adulto si alternano a delle splendide poesie scritte dal padre del regista, perfette per descrivere e accompagnare le immagini del film.
Lo specchio mostra sì una storia di un uomo, ma è un film talmente criptico, senza un apparente filo logico, che davanti allo specchio finiscono tutti quelli che hanno il coraggio di andare oltre il proprio sguardo ed entrare dentro sé stessi, fare come Aleksej, capire chi siamo e chi siamo stati. Ci sono scene surreali, oniriche, al limite della finzione che non hanno lo scopo di essere capite, ma di porre ed instaurare dubbi, lasciare senza parole, di far trovare le proprie risposte, non quelle del protagonista perché è Aleksej che, prima di morire, dovrà trovare le sue.
P.S.: Lo studio cinematografico MosFilm su YouTube ha reso disponibile tutta la filmografia del regista russo sottotitolata in diverse lingue.