Il cacciatore recensione film scritto e diretto da Michael Cimino con Robert De Niro, Christopher Walken, Meryl Streep, John Savage e John Cazale
Nel periodo della New Hollywood, tra gli anni Sessanta e Settanta, numerosi cineasti esemplificarono la loro sigla d’autore grazie a lungometraggi di successo con l’obiettivo iconoclasta della demolizione di determinati tabù. Tra i promotori di questo nuovo modo di intendere il cinema, Michael Cimino è un nome che ancora oggi non ha l’ovazione che meriterebbe, malgrado l’etichetta di cult assegnata a numerosi suoi lavori quali L’anno del dragone e lo sfortunato, epico, I cancelli del cielo. Con Il cacciatore, suo secondo film dopo l’ammirevole Una calibro 20 per lo specialista, il regista di New York ha tagliato numerosi traguardi: è stato il primo autore cinematografico a occuparsi dello scomodo tema della guerra in Vietnam e addirittura ad aggiudicarsi ben cinque Premi Oscar (tra cui Miglior Film e Miglior Regia) per esso. Fatto lungi dall’essere scontato per i tempi, conferma di un pubblico preparato ad apprezzare le infinite sfumature di un film così avvincente, per quanto amaro e scioccante.
Sebbene al giorno d’oggi Il cacciatore sia considerato quasi all’unanimità un opus magnum di rilevanza artistica a 360° e un capostipite del filone war-movie vietnamita, non sono mancati i fischi, soprattutto da parte degli ambienti della sinistra europea, che scorsero un presunto spettro di xenofobia nell’opera di Cimino, accusando quest’ultimo di aver spinto troppo sulla cattiveria del nemico asiatico nella scena più memorabile del film, la lunga e dettagliata tortura della roulette russa. Naturalmente si può discutere su tali accuse, ma ciò sminuirebbe la portata più ampia di un film estremo e potente, di un valore tecnico ed emotivo trascendente l’etica e la politica.
Il cacciatore: sinossi
Michael “Mike” Vronsky (Robert De Niro), Nikanor “Nick” Chevatorevich (Christopher Walken) e Steven Pushkov (John Savage) sono tre amici di origine russo-americana che svolgono in tutta tranquillità la professione di operai metallurgici in un’acciaieria della Pennsylvania. Appassionati di caccia al cervo, con Steven in procinto di sposarsi, i tre ricevono la chiamata alle armi per le Vietnam, inconsapevoli di andare contro il peggior trauma della loro vita.
Caduti prigionieri dei Viet Cong dopo un’azione di guerriglia, i protagonisti vengono sottoposti al sadico gioco della roulette russa, e solo il sangue freddo di Mike riesce a risolvere la situazione e a garantire agli amici la fuga. Questo però non basterà a impedire a Steven di perdere le gambe e a Nick di subire il fato peggiore.
La bellezza dell’intimismo
Malgrado le tre ore di durata, il viaggio di andata e ritorno dall’America al Vietnam raccontato da Cimino coinvolge appieno, risultando memorabile per la solidità di una trama dai risvolti inquietanti e per una regia precisa e consapevole, di straordinario impatto visivo nei campi lunghi, elegantissima nelle carrellate e nei piani sequenza, estremamente comunicativa nei primi piani che scavano i volti dei personaggi sino al loro “cuore di tenebra”, luogo dal quale è impossibile tornare sé stessi. Gli ambienti riflettono minuto dopo minuto le dirette sensazioni dei personaggi, dalla montagna incontaminata (simbolo della giovinezza e dell’innocenza non ancora violate) alla giungla devastata dai fuochi della guerra. La tecnica di Cimino, come d’altronde dimostrato in I cancelli del cielo, trasforma le bellissime immagini fotografate da Vilmos Zsigmond in emozioni figurative esaltate dalla toccante colonna sonora di Stanley Myers.
L’immane recitazione è lì a testimoniare, come se ce ne fosse bisogno, la caratura dell’opera come racconto di personaggi cesellati con sensibilità nelle loro sfumature. Robert De Niro, dopo Taxi Driver, primeggia con l’ennesimo volto delle inquietudini americane del tempo, ma gli intensi Christopher Walken e John Savage forse fanno ancora meglio nell’esternazione di paura e dolore. Si fanno notare, inoltre, una Meryl Streep in erba ma già sorprendente e un John Cazale prematuramente morto prima del rilascio ufficiale in sala.
“Un colpo solo”
La suddivisione tripartita della storia esprime gradualmente gli orrori e i traumi con cui la guerra inquina l’anima di chi vi partecipa. La gioia e il valore dell’amicizia si esprimono in scene di vita quotidiana, necessarie a caratterizzare a fondo i protagonisti. Molte parole sono state spese a proposito della lunghissima scena del matrimonio, un miracolo di scrittura e regia intrecciate in un ricamo fatto di belle speranze per il futuro pronte a essere disattese; molto più incisiva e fondamentale è però la sequenza della caccia al cervo, con la regola morale del “colpo solo” di Mike a promuovere un rispetto ascetico per la vita, ribaltato nella digressione sulla roulette russa in disumanizzante strumento di morte e divertimento perverso.
Nella parte finale de Il cacciatore, la più amara, Cimino descrive con estremo realismo e crudezza gli effetti della guerra, le divisioni sociali, e il peso psicologico di una così orribile esperienza. Il tutto si chiude in gloria con un faccia a faccia tra Mike e Nick, dall’esito sconvolgente anche a quarant’anni di distanza; un epilogo emozionante, la cui nera e poco confortante crudeltà lascia un segno indelebile e mai più rimarginabile.