Ma Rainey’s Black Bottom recensione film di George C. Wolfe con Viola Davis, Chadwick Boseman, Colman Domingo, Glynn Turman e Taylour Paige
Uscito direttamente in streaming su Netflix, Ma Rainey’s Black Bottom è diretto da George C. Wolfe e basato sull’omonima opera teatrale del 1984 di August Wilson.
Nel cast vediamo Viola Davis nei panni di Ma Rainey, una famosa cantante blues e Chadwick Boseman, al suo ultimo ruolo cinematografico, nei panni di Levee, il trombettista della sua band.
Ci troviamo a Chicago, a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta: Ma Rainey è una delle cantanti blues più famose del momento, definita anche la “Madre del Blues” ed è attesa in studio di incidere il suo nuovo album. Ad attenderla, oltre al suo stressato manager bianco, il quale cerca di soddisfare ogni sua richiesta e di resistere ad ogni suo capriccio, ci sono i quattro membri della sua band: Cutler, Slow Drag, Toledo e Levee.
Ma Rainey è in forte ritardo, ma mentre l’aspettano, i quattro membri della band scherzano tra loro, raccontandosi aneddoti della loro vita. Nonostante la leggerezza iniziale, si nota fin da subito una certa tensione tra i quattro musicisti, scaturita soprattutto da Levee, il più giovane della band, il quale spesso si scontra coi veterani Toledo e Cutler.
Levee è un musicista talentuoso ed ambizioso, il suo sogno è quello di lasciare un segno nel mondo della musica, scrivendo le proprie canzoni e mettendo su la propria band.
Finalmente Ma Rainey arriva in studio, stanca e accaldata: il gruppo è in ritardo sulla tabella di marcia, cosa che fa infuriare il produttore e proprietario dello studio.
Tra un capriccio della cantante e le discussioni della band, Ma Rainey’s Black Bottom racconta uno spaccato di storia americana che s’intreccia al mondo musicale.
Ma Rainey è una leggenda del blues e la pellicola sembra raccontare un piccolo aneddoto della sua carriera. Ma presto ci accorgiamo che va ben oltre il racconto biografico e scava a mani nude nei pensieri e nella coscienza dei protagonisti.
Quel piccolo studio (praticamente l’unica location) diventa quasi una seduta psicologica, coi protagonisti che raccontano la propria vita e i propri dolori.
Ma Rainey confessa di rendersi conto di essere piuttosto capricciosa, ma tutte le sue richieste esagerate e i suoi capricci sono l’unico appiglio a cui tenersi stretta, per non vendersi del tutto al suo agente bianco. In una sequenza molto intensa che esalta l’estrema bravura di Viola Davis, l’artista afferma che il pubblico bianco vuole solamente la sua voce, avuta quella, lei sarebbe diventata come una prostituta, pagata per il servizio offerto.
I pensieri ad alta voce di Ma Rainey esprimono un malessere tipico dell’epoca: al nord la “musica dei neri” era molto apprezzata, ma al sud aleggiava ancora l’ombra del razzismo. La voce del personaggio interpretato da Viola Davis è quella di una donna che simboleggia un popolo che ha sofferto, ma che vuole comunque rimarcare il proprio orgoglio ed onore.
Ma si parla anche molto di musica, con un’ottima analisi sul blues e sulla sua forza travolgente, che trascende i confini musicali, sfociando in quelli sociali.
Parallelamente a Ma Rainey, vediamo Levee, il personaggio interpretato da Chadwick Boseman. Ci rendiamo conto subito del suo essere scanzonato e anche un po’ sprovveduto. È un trombettista che sa di essere bravo, mostrandosi molto sicuro di sé, sia durante le prove col resto della band e sia con Ma Rainey stessa.
Il suo sogno è quello di formare una propria band e cantare le proprie canzoni e, all’inizio, le cose sembrano effettivamente andare così: il produttore sceglie la sua versione per la registrazione, gli chiede alcune canzoni di prova e, inoltre, riesce a conquistare la “ragazza di Ma”, una ballerina che accompagna sempre la cantante in tour.
Ma, ad un certo punto, inizia la parabola discendente di Levee: dopo essere stato contestato dai suoi compagni, per come tratta coi bianchi, Leeve racconta di come abbia dovuto sopportare la visione di sua madre aggredita e violentata da alcuni uomini bianchi, di come si sia preso una coltellata, cercando di difenderla e di come il padre avesse aspettato anni prima di riuscire ad ottenere vendetta.
Questo racconto rompe gli argini del fiume, che diventa in piena durante lo scontro tra Levee e Curtis su Dio; l’evento porta al licenziamento di Levee dopo aver estratto il coltello. In questo modo, la piena del fiume non viene arginata e si carica di forza fino al tragico finale.
La scelta del cast è azzeccatissima: i membri della band sono interpretati da Micheal Potts (Slow Drag), Colman Domingo (Cutler) e Glynn Turman (Toledo), personaggi sicuramente in secondo piano rispetto a quelli interpretati da Boseman e Davis, ma che fungono da perfetto contraccolpo ad ogni esplosione di rabbia di Leeve e di Ma Rainey.
Ogni componente della band si prende il suo spazio, mettendosi metaforicamente sotto l’occhio di bue e raccontandoci un fatto, un ricordo, che funge da spunto per allargare la discussione a tutti, portandola sotto la loro attenzione, e a spostare il focus.
Gli occhi dello spettatore sono tutti diretti verso Viola Davis (quasi irriconoscibile nei panni di Ma Rainey) e Chadwick Boseman, nei panni di Leeve.
Quella di Boseman è stata l’ultima interpretazione cinematografica: la sua morte prematura, lo scorso 28 agosto 2020, ha scioccato tutto il mondo.
È vero, tutti lo ricorderemo come il nostro T’Challa e forse non ci dovremmo far influenzare dalla sua morte nell’analisi di questo film, ma è impossibile.
Durante l’intera pellicola vediamo questo personaggio carismatico, che sprizza rabbia e fame di successo da tutti i pori, e non possiamo pensare che il suo interprete non ci sia più.
Chadwick Boseman, come mai prima, in questa pellicola dà prova del suo talento cristallino e della sua naturalezza. Quando appare sullo schermo Boseman alza sistematicamente l’asticella: ogni volta che entra in scena la pellicola prende uno sprint diverso, non è più il film a dettare il tempo, bensì Boseman.
Il regista George C. Wolfe riadatta l’omonima opera teatrale e la trasla forse un po’ troppo semplicisticamente sullo schermo: l’impostazione teatrale è visibile fin dai primi minuti e, a volte, stanca un po’ troppo l’occhio dello spettatore.
A brillare sono le interpretazioni dei protagonisti e il tempo delle battute, che seguono un ritmo ben pensato e scadenzato attraverso un continuo saliscendi di tensione ed emotività.
Lo scorso anno Joaquin Phoenix ha vinto il meritato Oscar come miglior attore protagonista per Joker, che brillava prevalentemente per la sua interpretazione.
Ma Rainey’s Black Bottom esiste e respira prevalentemente per le interpretazioni di Viola Davis e Chadwick Boseman, magari quest’ultimo avrà lo stesso destino di Phoenix.