Nel primo numero della rubrica Multiverse of MadMass: WandaVision: dal fumetto alla TV e ritorno
Venerdì 5 marzo 2021 i server di Disney+ sono andati in crash per la seconda volta: era già successo due settimane prima, ed entrambe le volte la causa è stata WandaVision.
Il serial che ha di fatto aperto la Fase Quattro dei Marvel Studios è stato un punto di svolta narrativo ma anche uno snodo fondamentale per la serialità televisiva.
Nel tranquillo paesino di Westview la vita scorre nella maniera più placida possibile, in conformità ai ritmi blandi e sonnacchiosi della provincia americana. Ma con l’arrivo di due sposini, Wanda e Visione, qualcosa sembra incrinarsi: prima lentamente, quasi in maniera impercettibile, poi in modo sempre più vistoso e drammatico.
Chi sono Wanda e Visione? Da dove vengono? Perché la realtà sembra piegarsi alla volontà della donna? E perché i militari della S.W.O.R.D. tengono d’occhio il paese?
Da una trama apparentemente lineare si dipana una narrazione complessa e stratificata: perché in realtà Wanda Maximoff è uno degli Avengers sopravvissuto alla strage di Endgame, nonché uno degli esseri più potenti al mondo.
Elaborare il lutto
WandaVision si rivela, dopo nove tesissimi episodi, una lunga e straziante elaborazione del lutto: un racconto che nasconde molto più di quello che c’è in apparenza, stratificato e intensissimo, e che parte da una mitologia letteraria (quella delle avventure dei due tra le pagine dei fumetti della Marvel Comics) colma di avvenimenti, colpi di scena e approfondimenti psicologici.
Sintetizzando per quanto possibile, uno sguardo alla trama.
Wanda Maximoff, distrutta dal dolore delle perdite di cui era costellata la sua vita, piega la realtà di una zona per farla diventare come quello che il suo inconscio riconosce come più confortante, ovvero le sit-com che guardava con la sua famiglia da bambina in Sokovia, o a casa con Visione, nei pochi momenti lieti della sua vita.
Di fatto, Wanda ha quindi costretto se stessa e tutti gli abitanti del sobborgo di Westview (compresa una versione fittizia di Visione creata da lei con i residui del potere della Gemma della Mente che aveva assorbito durante gli esperimenti su di lei nelle carceri dell’Hydra) a vivere come nelle sit-com americane, dagli anni ’40 fino ai Duemila.
Proprio da qui parte la narrazione del primo episodio di WandaVision: dall’inizio, una rielaborazione delle sitcom più popolari, partendo dagli anni ’40 e arrivando ad oggi.
WandaVision è anche un’enorme opera crossmediale, che ha dimostrato a tutti come la Marvel abbia ormai la capacità e il pieno controllo della struttura narrativa audiovisiva: storie calibrate alla perfezione, come meccanismi ad orologeria, con tempi perfetti e una visione d’insieme a dir poco maestosa. La Marvel, attraverso la release settimanale su Disney+, ha riattivato oltretutto il meccanismo di fidelizzazione del pubblico rilasciando un solo episodio ogni sette giorni: facendo riscoprire il gusto dell’appuntamento televisivo (così come Endgame e Infinity War avevano riportato in sala il gusto dell’evento condiviso), e diventando assoluti protagonisti delle discussioni sui social, investendo poco e nulla in una promozione che ha cominciato ad autoprodursi tramite l’incredibile hype che saliva di settimana in settimana. Arrivando a far andare in crash la piattaforma.
Perché WandaVision – come ogni prodotto del MCU, attivo ormai dal 2008, partito con Iron Man di John Favreau – fa parte di un’unica macrostoria pur avendo uno sviluppo “verticale” delle sue trame, collegando (allo stesso identico modo di come avviene nei fumetti Marvel da ottant’anni) le storie di molteplici personaggi che convivono nella stessa realtà, ognuna approfondita in uno stand alone.
Proprio per questo, anche per questo, WandaVision è il punto di svolta che si diceva sopra proprio perché è la prima serie tv a mostrare una lungimiranza impressionante, fulcro di un marketing spietato e vincente, che strizza l’occhio al fan più scafato e allo stesso tempo avvolge lo spettatore portandolo dentro un universo ricchissimo e affascinante.
Quando il dolore è amore: “Che cos’è il dolore, se non amore perseverante?”
WandaVision non rinuncia a nulla: dialoghi perfetti, attori in grandissimo spolvero, ritmo spietato, narrazione orizzontale e verticale perfettamente bilanciate, una regia sapiente che riesce anche a fare il punto sulla serialità televisiva.
Elizabeth Olsen e Paul Bettany sono (solo) la punta di diamante di un cast perfetto, immerso negli scenari che passano con disinvoltura da Strega per amore a La famiglia Brady fino a Modern Family: compiendo una ricognizione metatestuale sulla drammaturgia statunitense e riportando tutto sul piano sociale e culturale. Senza dimenticare l’approfondimento, la tridimensionalità dei superesseri che continuando nel solco ideato e tracciato dall’eterno Stan Lee usano i supereroi con superproblemi per parlare di noi e della nostra dolorosa quotidianità.
Come si diceva prima, WandaVision è una lunga, dolorosa, lacerante, profonda seduta di psicoanalisi per l’elaborazione del lutto. Il personaggio di Wanda Maximoff, fino a poco tempo fa lasciato in secondo piano nei film, ha finalmente espresso tutte le potenzialità che aveva quello cartaceo: perché la bella sokoviana è un concentrato di dolore e frustrazione legato ad un potere immenso, per una mente fin troppo labile da riuscire a contenere tutto.
“Cos’è il dolore, se non amore perseverante?”, dice Visione in una delle sequenze più commoventi e profonde della serie. Così come nelle pagine dei fumetti, anche qui in TV il rapporto tra uomo e macchina è servito per approfondire il senso dell’esistenza, e la conseguente ricerca dell’essenza di ciò che ci fa essere umani: l’amore.
Sempre Visione, nell’ultimo nono episodio, è al centro di un confronto con la Visione Bianca. Tutto l’episodio è incentrato sul doppio: confronto tra le due streghe, le due Visioni, le due realtà. E se Wanda e Agatha combattono sul piano fisico, la Visione ricreata da Wanda e la Visione Bianca ricostruita dallo S.W.O.R.D. si affrontano in un museo discutendo sul paradosso di Teseo.
Il paradosso della nave di Teseo esprime la questione metafisica dell’effettiva persistenza dell’identità originaria, per un’entità le cui parti cambiano nel tempo; in altre parole, se un tutto unico rimane davvero se stesso (oppure no) dopo che, col passare del tempo, tutti i suoi pezzi componenti sono cambiati (con altri uguali o simili). Da sottolineare come la regia inquadra il duello verbale dei due Visione con la stessa identica inquadratura usata in Age Of Ultron – film dove nasce la Visione – nella quale il sintezoide combatteva in volo con il suo creatore, lo stesso robot Ultron.
E questo è solo un esempio dell’incredibile ricchezza narrativa, drammaturgica e umana che WandaVision offre: costruendo – benissimo – su un materiale di partenza già esistente e ottimo. “- Chi sono io? – Sei il mio dolore, la mia speranza. Il mio amore.”
WandaVision: davanti e dietro la TV
E si parlava sopra di stratificazione non a caso.
Non solo WandaVision è una lunga e dolorosa elaborazione del lutto, ed accettazione del dolore.
Non solo l’urlo di Wanda, nel penultimo episodio, è un bellissimo atto di libertà: per ritrovare la consapevolezza di sé e accettare nel dolore un mondo che non è come vorremmo noi; per fare pace con gli effetti collaterali della negazione del dolore (apparire deboli, abbracciare il lato brutto della vita).
WandaVision è anche intima e collettiva allo stesso tempo.
WandaVision è uno show ricchissimo di livelli di lettura: perché gioca con il mezzo (la televisione, le sitcom) dentro cui si muove, usandolo e vivendolo contemporaneamente.
I sorrisi finti di Westview, la comfort zone nella quale rinchiudersi, l’intrattenimento sterile, sono interferenze attraverso cui WandaVision si muove in un percorso tortuoso tramutando il dolore in incantesimo catartico. Nel lutto, nella solitudine, nella morte, c’è tutta l’onestà e la verità del voler accettare, abbracciare, rendere parte di sé il male che ci circonda e che fa parte delle nostre vite.
I mondi creati da Wanda sono dichiaratamente stilizzati, sono gli stessi delle sit-com che regalano mondi artefatti, fasulli. Il mondo di Wanda è un mondo ingiusto, fatto di soprusi e tragedie, e quando si guarda a quei mondi idealizzati così innocenti e sempre positivi, con conflitti risolti senza problemi o traumi, (di)mostrano come la televisione possa essere a volte un continuo lavaggio del cervello.
Quei cittadini obbligati a sorridere aderendo ad un assurdo American Way of Life da propaganda politica dentro di sé urlano di dolore mentre nessuno li sente. Le sitcom sono (state?) uno degli strumenti di propaganda anche commerciale con il quale il modello americano – ma non solo – promuoveva e imponeva se stesso.
Ancora oggi, e anche altrove, sono l’arma tagliente con la quale si annebbia il pubblico convincendolo che “va tutto bene”.
La carta da parati a fiori non fa altro che nascondere macchie d’inquietudine: fino a che la drammaturgia vuole proporre scenari da incubo, basta solo riproporre fedelmente quei modelli, mettendo in piedi una sit-com nel modo più fedele possibile. una tortura che finisce arrivando alle sitcom a cavallo tra gli anni Novanta e gli Anni Zero, come ad esempio Modern Family, dove la televisione guarda sé stessa e ammette la finzione con il pubblico partecipe di questo cortocircuito. Smettendo di girare la testa dall’altra parte davanti al racconto della parte peggiore di noi.
In origine fu Marvel Comics
Nei fumetti Marvel, Wanda Maximoff appare per la prima volta in X-Men vol.1 #4 di Stan Lee e Jack Kirby, del marzo 1964, per poi entrare a far parte degli Avengers nel #16 del maggio 1965.
Wanda è una strega, ha una storia biologica e di traversie a dir poco travagliata, perché la sua origine è stata riscritta tre volte in base alle necessità narrative e commerciali dell’azienda: oltretutto, è stata al centro di uno degli eventi focali della storia moderna Marvel, House Of M, e ancora oggi esercita il suo fascino in un intricato labirinto di ingenuità e pericolosa schizofrenia.
Visione è invece un sintezoide: termine coniato dal suo creatore Roy Thomas nel volume Avengers #57 dell’ottobre del 1968, che descrive un essere costruito artificialmente con pezzi di memoria ed emozioni umane ma un corpo biomeccanico. La storia d’amore tra i due ha ispirato alcune tra le avventure più dolorose e belle di tutta la Marvel: e se il loro matrimonio è stato mostrato su Giant-Size Avengers #4 del 1974, i due sono stati presenza fissa sulle pagine delle varie testate degli Avengers pressoché sempre, figurando anche come protagonisti assoluti in due miniserie (Vision & Scarlet Witch, 4 numeri ad opera di Bill Mantlo ai testi e Rick Leonardi ai disegni nel 1982; e Vision & Scarlet Witch 2, 12 numeri di Steve Englehart e Richard Howell).
C’è poi il caso di West Coast Avengers.
Visione in accordo con il governo degli Stati Uniti decide di aprire una seconda filiale della squadra per essere più efficienti sul piano nazionale; artisticamente, il nuovo tema debutta in una mini di quattro numeri firmata da Roger Stern e Al Milgrom. Dopo aver vivacchiato per tre-quattro anni, sarà il solito John Byrne, su West Coast Avengers # 42 del 1988, a dare uno scossone alle storie che avrà l’effetto di un terremoto, i cui effetti si faranno sentire fino ad oggi.
Il ciclo di Byrne su WCA, che dura fino al # 57, è stato spesso citato in diversi manuali tecnici sul fumetto per la maestria con cui l’autore canadese ha saputo scrivere i personaggi, programmare la storia, impiantare le tavole e il layout: un lavoro di cesello raffinatissimo, preciso, da gran maestro, che al contempo o forse proprio per queste sue doti incredibili diventa incredibilmente fluido, accattivante, affascinante. Un ciclo che ha fatto la storia, e non solo per l’altissima qualità del lato artistico ma anche per quanto è raccontato dentro: prendendo infatti spunto dal racconto Visione Assoluta di Stern, Byrne torna ancora una volta sulla coppia più mista del Marvel Universe approfondendone i risvolti psicologici e puntando il focus sulla malattia mentale come disfunzione biologica.
Memori di quanto da lui fatto poco tempo prima e della sua ormai acclarata pericolosità, i Governi decidono di rapire Visione. La moglie Scarlet inizia dunque a cercarlo disperatamente, mentre i due figli che intanto hanno avuto, sorvegliati da diverse tate, iniziano a sparire e riapparire misteriosamente. Wanda Maximoff ritroverà il marito, ma purtroppo solo dopo che in una base segreta era stato smantellato e completamente disassemblato. Una volta riappropriatosi dei vari componenti, il dott. Hank Pym tenta di rimettere insieme il sintezoide e ci riesce, scoprendo però che purtroppo la sua “coscienza” era stata cancellata. Nessuna più traccia, quindi, delle sue emozioni e del suo amore profondo e così combattivo per la moglie: un cambiamento radicale che si ritrova anche nel costume, che da verde e giallo diventa completamente bianco.
Come se non bastasse, la povera Scarlet scopre cosa si celava dietro le sparizioni dei suoi due bambini piccoli: essendo Visione un sintezoide, non era ovviamente possibile che l’avesse ingravidata. La sua gravidanza si rivelò allora una gravidanza isterica, e i figli nati solo proiezioni del suo inconscio fatte carne grazie ai suoi poteri magici e allo zampino del demonio Pandemonium che quindi scompaiono nel nulla una volta svelato l’inganno.
Appare chiaro come il nucleo della storia di WandaVision venga proprio da qui.
Mentre invece la bellissima mini Vision, di Tom King, è servita solo come suggestione, per le bellissime cover di Mike Del Mundo che ricreavano la provincia americana declinata secondo la natura sintezoide. Ed è stato sempre Mike Del Mundo, sulle pagine di Avengers, vol. 7, #3 del 2017, a suggerire il duello psicologico tra Visioni tramite il paradosso della Nave di Teseo.
WandaVision, per finire, doveva essere l’anello di congiunzione con Doctor Strange In The Multiverse of Madness di Sam Raimi: e così è stato, proprio negli ultimi secondi dell’ultima scena post credit dell’ultimo episodio di WandaVision.
Ma questa, come si dice, è un’altra storia che racconteremo al prossimo appuntamento.