WolfWalkers – Il popolo dei lupi recensione film d’animazione di Tomm Moore e Ross Stewart con le voci di Honor Kneafsey, Eva Whittaker e Sean Bean
Presentato all’ultima edizione del BFI London Film Festival e attualmente distribuito da Apple TV+, WolfWalkers – Il popolo dei lupi di Tomm Moore e Ross Stewart è considerato dai suoi autori come il capitolo finale di una trilogia ispirata alla mitologia irlandese, preceduto da La canzone del mare (2014) e The Secret of Kells (2009), quest’ultimo mai distribuito in Italia.
Affascinati dall’animazione insolita che ricalca lo stile delle graphic novel e incuriositi dai quadri suggestivi e “surreali” che dominano alcune sue sequenze, deformandone a piacimento le prospettive e appropriandosi delle leggi fisiche che governano gli spazi e le architetture, non abbiamo potuto resistere ad informarci sui processi creativi che hanno portato alla nascita del film: la narrazione attinge sia dal folklore sia da alcuni fatti storici realmente verificatosi, come la presenza del lupo grigio sul suolo irlandese e lo sterminio promosso nel XVII secolo a opera del deputato John Perrot, il quale firmò una legislazione volta a limitare la presenza degli animali che, mossi dalla fame e dall’istinto di sopravvivenza, avevano cominciato ad introdursi in branchi nelle piccole cittadine.
Ed è proprio nel lontano 1650 che ha inizio la storia. Siamo in Irlanda, esattamente all’interno delle mura fortificate di Kilkenny. La città è governata dall’autoritario Lord Protector (Simon McBurney), un sovrano deciso ad ampliare i propri possedimenti e il proprio potere; per fare questo è disposto ad abbattere gli alberi del bosco confinante ed eliminare un branco di lupi che ormai già da tempo ha stabilito lì le sue radici. Parte di questa missione viene affidata al cacciatore inglese Bill Goodfellowe (doppiato nella versione originale del film da Sean Bean) – che ricalca la figura realmente esistita di Henric Tuttesham – e alla figlia Robyn (Honor Kneafsey). Decisa ad aiutare il padre nella sua impresa, durante una delle sue scorribande fuori dai confini della città Robyn però entra in contatto con Mebh (Eva Whittaker), una ragazzina selvaggia, dallo spirito libero, appartenente ad una tribù alquanto misteriosa, portatrice di un segreto che forse metterà a rischio l’intera missione di Bill Goodfellowe e sovvertirà i piani del temibile Lord Protector.
Sicuramente una delle voci più promettenti dell’animazione contemporanea, Tomm Moore, affiancato alla regia da Ross Stewart, riesce a portare sullo schermo un lavoro capace di rivolgersi a uno spettro molto ampio di pubblico, raccontando attraverso toni leggeri una vicenda drammatica e, per molti aspetti, assai contemporanea: risulta infatti impossibile non pensare a tematiche quali la colonizzazione, l’integrazione e la paura del diverso; elementi che in WolfWalkers vengono trattati con una delicatezza e una profondità del tutto inusuali.
Indiscussa complice dell’ottima riuscita del film è un’animazione capace di fondere i bozzetti grezzi dello storyboard ai colori brillanti e alle ambientazioni suggestive in cui si muovono i personaggi, alternando alle geometrie severe delle città i tratti dolci e rotondeggianti della natura. Infatti, fin dai primissimi frame si nota come la pellicola abbia sviluppato uno stile completamente suo, allontanandosi dai tratti disneyani a cui siamo tutti abituati e dando vita ad un mondo curato nei particolari, sempre in mutazione, pronto a sorprendere la nostra immaginazione ad ogni singolo cambio di inquadratura.
Anche la colonna sonora e soprattutto il singolo Running with the Wolves della cantante norvegese Aurora, arrangiato per il film dal compositore francese Bruno Coulais, si lega amabilmente alla narrazione con giusto equilibrio e ritmo.
Davvero entusiasti di WolfWalkers, speriamo che in futuro Tomm Moore e la sua crew riescano a guadagnare il giusto riconoscimento che meritano per questo tipo di produzione, e chissà… magari anche ad ottenere una statuetta agli Academy Awards.