Zero recensione serie TV Netflix creata da Menotti e scritta da Antonio Dikele Distefano con Giuseppe Dave Seke, Beatrice Grannò, Haroun Fall, Daniela Scattolin, Virgina Diop, Richard Dylan Magon e Madior Fall
Sono quello delle pizze. Un modo come un altro per dire nessuno.
(Giuseppe Dave Seke in Zero)
Al di là di quanto possa essere vero oggi e della semplificazione che i driver, così come magari per esteso tutti coloro che svolgono un cosiddetto lavoro umile, siano considerati dei nessuno (e non magari dei salvatori in epoca di pandemia), e del ben più forte e condivisibile assunto che essere di colore o appartenente ad una comunità sottorappresentata significhi essere un invisibile, Zero si scrolla rapidamente di dosso le sue premesse – l’integrazione e la discriminazione razziale, la diseguaglianza sociale, la rappresentazione di una comunità di italiani di seconda generazione e stranieri in Italia o meglio nella periferia di Milano, la teoria dei vetri rotti per la quale il degrado abitua al degrado e all’accontentarsi del peggio, il valore della famiglia riscoperto negli amici più cari – e, una volta esauriti i suoi presupposti, si riduce ad una serie sin troppo frammentata di sequenze, dalla scenetta romantica al colpo alla casa di poker, dal ritrovo con gli amici al litigio in famiglia, dalle situazioni di pericolo alle scene più propriamente d’azione.
Creata da Menotti (Lo chiamavano Jeeg Robot) e scritta da Antonio Dikele Distefano, liberamente ispirata al suo romanzo Non ho mai avuto la mia età, la nuova serie originale italiana Netflix pecca nel dare profondità alle sue tematiche, più che altro accennate, e coesione al racconto, sostenuto da un minutaggio contenuto degli episodi e da significativi contributi musicali della scena rap, non soltanto per gli artisti inclusi nella colonna sonora ma soprattutto per l’abbondanza dei brani presenti che accompagnano buona parte delle sequenze di Zero alla stregua di lunghi videoclip musicali.
Meglio essere scambiato per quello che non sei che non essere visto affatto.
(Giuseppe Dave Seke in Zero)
L’invisibilità come metafora per raccontare una generazione di giovani che si sentono invisibili, l’accettazione della diversità e l’inizio di un processo di cambiamento, partendo da un buon cast di giovani attori, esordienti o quasi, italiani di prima e seconda generazione, collidono con una narrazione che, dopo aver soltanto introdotto il racconto di una comunità e il tema del senso di appartenenza, vira rapidamente verso gli elementi fantastici e action propri del serial supereroistico, tra origin story ed esercizio dei superpoteri, villain che si rivelano boss di basso rango, nuove nemesi e twist narrativi che si reggono tuttavia su fragili basi con l’intento o meglio l’augurio di spingere il racconto verso nuove direzioni da esplorare potenzialmente in futuro.
Dal disagio dell’essere scambiato per il colore della pelle in uno spacciatore, un vu’ cumprà, un ladro o un servitore al diventare il supereroe Zero salvatore del Barrio nella periferia milanese, Omar, interpretato dall’esordiente Giuseppe Dave Seke, utilizza il proprio potere, il cui accesso è condizionato dalle sue stesse emozioni, per opporsi alle trame di un palazzinaro che vuole deportare con la violenza la comunità a cui appartengono i protagonisti, dopo averne degradato e deprezzato il quartiere per acquistare al ribasso e riqualificarlo in un processo di gentrificazione, mentre finisce ai ferri corti con il padre e si interroga sulle sue origini, il suo doloroso passato e quello della madre scomparsa.
Apri gli occhi e guardati intorno se vuoi che il mondo ti veda.
Una volta che apri gli occhi niente può farteli richiudere.
(Giuseppe Dave Seke in Zero)
Come serial supereroistico distribuito dal 21 aprile in 190 Paesi in tutto il mondo, Zero non riesce a catturarci pienamente attraverso le sue dinamiche e la sua dimensione sognante, rimanendo sospeso a metà tra i temi fondanti della sua credibile ed universale quotidianità e gli elementi fantastici del genere, seppur apprezzabile è l’essere promotore dell’avvio di un processo di cambiamento che apra la serialità italiana alla diversità e alla rappresentazione di una società colorblind multietnica, sull’onda delle nuove produzioni originali Netflix che ha destinato cento milioni di dollari nei prossimi anni alla realizzazione di produzioni orientate all’inclusività e alla diversità.
Il coinvolgimento diretto di molti celebri artisti musicali alla realizzazione della colonna sonora, supervisionata da Marco De Angelis di Fabula Pictures, da 64 barre di Paura di Marracash a Zero di Mahmood, Voce di Madame, Rajasthan di Ginevra, ed ancora Coez, Gué Pequeno, Emis Killa, Shablo, Tha Supreme, e la presenza di stelle internazionali come Lil Wayne, Fka Twigs, Lous and the Yakuza e Ama Lou, spinge Zero verso una commistione tra il cinema ed il medium musicale, con il passaggio dei brani impreziosito dalla sgargiante fotografia di Daniele Ciprì che esalta la componente musicale di un serial che tuttavia non si appropria pienamente del genere di riferimento.
Zero: le frasi della serie TV Netflix
Se ami qualcuno, abbraccialo ogni volta che puoi.
(Zero)
Se vuoi partire parti, tanto ci sarà sempre qualcuno che te la farà pesare.
(Beatrice Grannò in Zero)
Sarà anche un posto di mxxxa, ma non lo cambierei per nessun altro.
(Madior Fall in Zero)