Alt det jeg er (All That I Am) recensione del film documentario di Tone Grøttjord-Glenne presentato al Bergamo Film Meeting 39
Crediamo nel potere dei documentari di creare un cambiamento.
(Tone Grøttjord-Glenne, regista di Alt det jeg er)
Presentato per la prima volta in Italia durante il Bergamo Film Meeting il lungometraggio documentario del 2020 Alt det jer er (All That I Am) della regista norvegese Tone Grøttjord-Glenne racconta la storia di Emilie, una ragazza di diciotto anni che ha subito abusi sessuali dal suo patrigno dai sei ai dodici anni. Dopo aver denunciato le violenze a un insegnante e la madre, l’uomo è stato condannato e imprigionato. Il film inizia cinque anni dopo quando Emilie torna a vivere con la sua famiglia, dopo essere stata in affido, per ricostruire i rapporti con la madre e i fratelli più piccoli, quest’ultimi ignari del motivo per cui il padre è stato arrestato e perché la sorella è stata lontana per tanti anni. Alt det jer er (All That I Am) è stato realizzato nel corso dei due anni successivi. Emilie inizia a guarire dal trauma decidendo di usare la propria voce per dire la verità sugli abusi subiti ed essere d’aiuto per chi come lei ha subito e subisce violenze.
Il lungometraggio si apre su un paesaggio naturale luminoso e innevato, mentre Emilie racconta in voice over il suo ritorno a casa dopo la lunga assenza. Nonostante il coraggio di denunciare gli abusi, ella sta affrontando un trauma psicologico – disturbo post-traumatico – un percorso lungo e complesso che diverrà ancora più difficile dopo la richiesta della madre Hanne di mantenere il silenzio su ciò che è successo con la sorella Danielle, di sedici anni, e i fratellastri Marco e Arianne, rispettivamente di dieci e otto anni. Il silenzio diventa sempre più opprimente sino al momento in cui Emilie prende il controllo della sua vita e decide di condividere la sua storia con i suoi famigliari riuscendo a ristabilire con loro un rapporto di fiducia. Allo stesso modo Alt det jer er (All That I Am) è un racconto catartico, intimo e mai invadente, per Emilie e per tutti coloro che hanno bisogno di non sentirsi soli davanti a eventi così terribili, dandogli al contempo gli strumenti per capire che ciò che stanno vivendo non è giusto e non è colpa loro.
Ho l’impressione che la sua vita sarà più semplice della mia.
(Alt det jeg er)
Il racconto di Emilie procede tramite delle ellissi temporali indefinite che se da un lato possono creare confusione nello spettatore al contempo restituiscono l’impressione di verità, comunicando le ansie, frustrazioni, aspirazioni e paure della protagonista; una ragazza con un incredibile forza d’animo, capace di affrontare, durante un udienza in tribunale, il suo aggressore. Il patrigno, figura assente all’interno del documentario, tanto che non sapremo nemmeno il suo nome, viene rilasciato ed Emilie vive con il terrore di imbattersi in lui per strada o che si possa presentare a casa della madre, ma questo non la fermerà dal decidere di iniziare un percorso per realizzare il suo sogno di divenire una scrittrice o lavorare nei centri di sostegno alle vittime, perché Emilie non vuole stare più in silenzio o che altri lo siano.
Di conforto per Emilie, nei due anni in cui seguiamo la sua crescita, sono il suo gatto Aiko, un allarme datole dalla polizia e senza il quale non riesce a dormire per il terrore di essere aggredita, e un’amica, di cui non conosciamo la storia, ma che è possibile presumere sia una vittima di violenze incontrata durante le riunioni dei gruppi di supporto o in affidamento. A costituire la rete di supporto di Emilie è, inoltre, un sistema pubblico e privato che si raccoglie intorno alla vittime per sostenerle, un lavoro di compassione e comprensione che, in Italia, non siamo abituati a vedere.
Sarebbe bello avere una rete. Mi sento isolata.
(Alt det jeg er)
Il film si divide in due atti, una scissione operata da una sequenza che, riprendendo il panorama innevato dell’incipit, riporta la registrazione della denuncia di Emilie bambina che racconta le aggressioni a una poliziotta. Il secondo atto è il racconto della rinascita della protagonista, segnata dal trasferimento in un nuovo appartamento, vuoto e luminoso, un nuovo inizio che le permetterà di confrontarsi con la madre. Anche Hanne deve affrontare il suo dolore, il senso di colpa che non riesce a placare, ma che inizia a guarire quando, in una toccante sequenza, si confronta con la figlia: «Per me è stato difficile capire il perché non mi sono accorta di nulla. Perché quando tu me lo hai detto… Ricordo alcuni dettagli. Ma non li avevo mai collegati a niente di simile. Ma non ho mai dubitato di te».
Dopo il confronto con la madre, Emilie decide di prepararsi insieme a dei consulenti per raccontare ai fratelli più piccoli ciò che le è successo. Il film si chiude con una porta finestra aperta sulla famiglia di nuovo unita e il primo piano di Emilie sotto la neve che finalmente sorride.
Alt det jer er (All That I Am) si propone di essere più di un film, ma un progetto che possa operare un cambiamento nazionale. Sul sito web Alt det jer er è presente il racconto di Emilie sul perché ha deciso di condividere la sua storia, gli interventi tenuti nelle scuole e gli obiettivi che insieme a Tone Grøttjord-Glenne si propone di realizzare: aiutare a rompere i tabù che esistono sulla violenza sessuale e gli abusi contro i minori; aiutare chi ha vissuto esperienze di violenze e abuso, fargli sapere che non sono soli; mettere i riflettori sulla violenza e sugli abusi; aumentare la consapevolezza di chi lavora nel servizio pubblico a contatto con minori e fornire conoscenze agli studenti che si stanno formando per lavorare con i bambini.