La cordigliera dei sogni recensione film documentario di Patricio Guzmán vincitore dell’Orso d’Argento al Festival del Cinema di Berlino
Era un grido profondo che non conoscevo.
(La cordigliera dei sogni)
Il memorialista cileno Patricio Guzmán presenta al Festival di Cannes del 2019 l’opera conclusiva della sua trilogia sul territorio cileno. Il trittico è iniziato nel 2010 con Nostalgia della luce, film che, a partire dal deserto di Atacama, osserva e riflette sul Cile contemporaneo, il ricordo della dittatura di Pinochet e la tragedia dei desaparecidos. A seguire nel 2015 viene distribuito il lungometraggio La memoria dell’acqua, una meditazione sulla storia del Cile a partire dall’acqua la quale permea il paese così come i suoi abitanti, in particolare gli indigeni vittime del genocidio sotto la dittatura di Pinochet.
Eccoci quindi arrivare all’ultimo capitolo, La cordigliera dei sogni, finalmente distribuito nei cinema italiani a partire dal 10 giugno, un’opera che indaga nuovamente il territorio nazionale realizzando un testo poetico ed emotivo, un memoir della dittatura di Pinochet e delle resistenze messe in atto dai cittadini cileni.
Patricio Guzmán ha lasciato il Cile nel 1973 dopo essere stato trattenuto come prigioniero politico per quindici giorni all’interno dell’Estadio Nacional de Chile, utilizzato come un campo di concentramento in seguito al golpe di Pinochet. Nel corso della prigionia gli fu chiesto di consegnare le bobine del film documentario La battaglia del Cile, opera realizzata nel mezzo degli eventi che portarono alla deposizione dei militari di Allende. Guzmán, allora esordiente, girò circa cinquanta ore di immagini utilizzando una pellicola 16mm in bianco e nero. Il risultato è un monumentale racconto in tre parti: L’insurrezione della borghesia (1975), Il colpo di stato (1976) e Il potere popolare (1979).
Dopo la prigionia il regista non volle più vivere in Cile, nonostante ciò, il suo Paese sarà il protagonista di tutta la sua carriera.
È con un forte rumore di vento su un monocromo bianco che si apre La cordigliera dei sogni conducendoci piano piano, attraverso le nuvole, in una discesa verso la cordigliera e la città di Santiago. Come spettatori e spettatrici siamo condotti lentamente all’interno di un racconto personale quanto politico sul territorio geografico, l’arte e la storia del Cile, riflessioni che si fondono insieme in una testimonianza nostalgica di un paese scomparso con la dittatura e mai pienamente ricostruito.
Superare la cordigliera delle Ande per il memorialista significa tornare nel paese dell’infanzia, tuttavia la patria che Patricio Guzmán ricorda non è quella in cui torna. Il Cile è uno stato nuovo, cambiato per sempre a seguito degli orrori della dittatura, la quale ha generato crepe irreparabili: ancora oggi c’è chi abusa del modello economico istituito da Pinochet, un modello feroce che permette agli investitori stranieri e ai ricchi di arricchirsi sempre di più abbandonando i cittadini cileni. Quello che compie Guzmán è un viaggio nel passato da cui scaturisce un messaggio per le nuove generazioni: non dimenticate il passato, non vi rassegnate al presente, non smettete di combattere per il futuro.
L’olfatto è, tra i cinque sensi, quello maggiormente capace di innescare la memoria. Gli odori, anche se apparentemente impercettibili, si uniscono ai ricordi e così quando Guzmán ci dice che tornando a Santiago non riconosce più l’odore della città comprendiamo quanto sia cambiata la sua casa, tuttavia essa continua a tormentarlo come un fantasma, la colpa di colui che se n’è andato. Il regista cileno non solo ha dedicato la sua carriera alla sua terra natia, ma i suoi lavori costituiscono una memoria di un passato che non può essere nascosto, poiché come lui afferma «In Cile ciò che non si vede non esiste». Le cime delle Ande ne La cordigliera dei sogni divengono le osservatrici silenziose degli orrori che il paese ha vissuto e che molti hanno cercato di nascondere, ma loro sono rimaste, testimoni silenziose dei rumori dell’umanità.
La cordigliera è come una madre, anche se non la vedi sai che è lì.
(La cordigliera dei sogni)
Esplorando il territorio geografico della cordigliera, Guzmán cerca di ricostruire l’anima del Cile. Le Ande si caricano così di molteplici significati simbolici, per alcuni è un muro che divide, per altri una protezione, per altri ancora è un labirinto da cui non si può sfuggire, ma al contempo un luogo che raccoglie in sé la memoria e la cultura del paese, così come l’erba, le rocce e il ghiaccio. Il paesaggio, visto dagli occhio del documentarista, è una poesia visiva unita sapientemente alla voice over dello stesso Guzmán, ai confronti con pittori, scultori, scrittori e cantanti, e ai video dell’archivio di Pablo Santos, testimonianza delle violenze, degli arresti e delle sparizioni avvenute nel corso della dittatura. Santos è uno dei cineasti che non se ne sono mai andati, le riprese da lui realizzate costituiscono un archivio inestimabile per custodire la memoria del passato, un compito quello di custodire questi eventi che porta avanti ancora oggi, quando c’è una manifestazione egli scende per strada e filma tutto quello che succede. Come le Ande che osservano da lontano, anche gli artisti devono vigilare sul proprio paese, sulle sue bellezze e conservarne le memorie.
Molti cileni non hanno mai visto la cordigliera, ma essa è parte della loro vita attraverso le sue riproduzioni – sulle scatole di fiammiferi o sull’affresco presente in metropolitana – e le sue rocce sono alla base delle opere di molti scultori e delle strade che hanno visto scorrere il sangue dei loro concittadini. La cordigliera osserva e costudisce la memoria, in silenzio, mentre ai loro piedi il rumore delle lotte continua, si marcia per motivi diversi, ma si continua a combattere, per un mondo più giusto, perché tutti abbiano gli stessi diritti.