Il metodo Kominsky 3 recensione serie TV di Chuck Lorre con Michael Douglas, Sarah Baker, Paul Reiser, Lisa Edelstein, Morgan Freeman e Kathleen Turner
Ci siamo: è terminata la serie televisiva creata da Chuck Lorre e che vede come protagonista Michael Douglas nei panni dell’insegnante di recitazione Sandy Kominsky. La serie disponibile su Netflix è composta di tre stagioni, la prima delle quali è uscita nel 2018 e ha vinto due Golden Globe (Miglior serie commedia o musicale e Miglior attore in una serie commedia o musicale). Prima dell’uscita dell’ultima stagione, la notizia dell’assenza di Alan Arkin nel ruolo di Norman Newlander aveva spiazzato tutti i fan. E pur essendo molto arduo continuare Il metodo Kominsky senza un personaggio così amato nella serie, possiamo dire che il risultato finale è comunque delizioso.
Dopo la morte di Norman Newlander (Alan Arkin), Sandy Kominsky dovrà gestire la sua eredità patrimoniale oltre a fare i conti con l’elaborazione del lutto. Come se non bastasse, nella vita di Sandy torna la sua ex moglie, Roz Volander (Kathleen Turner), decisa a passare molto più tempo con sua figlia Mindy (Sarah Baker) e a conoscere Martin (Paul Reiser). Ma tutti i mali però non vengono per nuocere e per Sandy ci saranno anche delle sorprese positive.
Se dovessimo riassumere la terza stagione de Il metodo Kominsky, potremmo dire che tutto gira intorno a Norman, la cui assenza, paradossalmente, si tramuta in presenza. Sandy, ad esempio, grazie alle conoscenze del suo amico può realizzare il suo sogno: diventare un attore cinematografico. Inoltre, per superare la perdita di Norman, Sandy si convincerà che l’amico si è reincarnato in un animale domestico, generando delle situazioni spassose. La sua presenza/assenza condensa in sé la morale della stagione, quella di vedere il lato positivo in tutto perché dopo il buio c’è sempre la luce.
L’assenza di Alan Arkin riesce a non farsi sentire anche grazie alla vera new entry, quella di Kathleen Turner. Il rapporto di battibecchi e prese in giro tra i due ex non è poi molto diverso da quello dei due amici del cuore. La vera differenza è che qui entrano in gioco i rimpianti e l’amore nel senso romantico del termine. Quello tra Sandy e Roz non è rapporto basato sulla passione amorosa, bensì un amore che fa stare bene i due, sempre pronti a sostenersi.
Ci sono numerose parti divertenti che colorano questa serie televisiva fin dalla sua genesi, peculiarità drammaturgica di Chuck Lorre. Una caratteristica comica ricorrente di Lorre, ad esempio, è la presenza di un personaggio con tic nervosi nei momenti di difficoltà, come Sheldon Cooper (Jim Parsons) in The Big Bang Theory, mentre ne Il metodo Kominsky è il personaggio di Martin.
Non mancano, inoltre, momenti drammatici che caratterizzano la terza stagione, come il monologo di Sandy nella scuola di recitazione. Nella scorsa stagione Martin aveva raccontato di quanto fosse insignificante la sua vita, mettendosi per la prima (e forse unica) volta a nudo. Sandy, invece, da’ vita a un monologo bellissimo, rivolto ai suoi studenti, su come recitare al meglio la parte di qualcuno che sta per morire, attingendo alle sue esperienze vissute. Ed è proprio grazie anche ai monologhi che anche la serie stessa si spoglia della sua veste più divertente e impertinente, per diventare una profonda riflessione sulla perdita e la morte.
L’epilogo composto dalle ultime due puntate, infine, tocca l’apice della bellezza: preparatevi, perciò, a commuovervi con il finale perfetto per una serie che ci ha insegnato tanto, divertito e commosso.