Assassins recensione film di Ryan White con Siti Aisyah, Doan Thi Huong, Hadi Azmi e Anna Fifield presentato al Far East Film Festival 23
Il 17 febbraio 2017 le telecamere a circuito chiuso dell’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur riprendevano due giovani donne intente a raggiungere i bagni della stazione facendo attenzione a non toccare il corrimano delle scale mobili, mantenendo accuratamente le mani lontano dal corpo. Quella mattina, la vietnamita Doan Thi Huong e l’indonesiana Siti Aishah, le mani se le sono lavate pensando di essere entrate in contatto con un unguento per bambini, lo stesso che fino a quel momento avevano usato per realizzare degli scherzi da candid camera organizzati da una casa di produzione giapponese, nella speranza giovanile di poter racimolare qualcosa e tentare una vita migliore di quella finora perdurata. La sostanza vischiosa sui palmi delle loro mani in realtà era gas nervino, il più potente veleno chimico inventato dall’uomo, e usato come arma bellica per la sua velocità d’assimilazione dal sistema nervoso, causando il decesso nel giro di venti minuti.
Quel fatidico giorno, al fratellastro maggiore del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, per morire ce ne sono voluti appena quindici, cosparso tramite spray da un quantitativo letale di VX spalmato sugli occhi e la bocca da una delle due e dunque collassato su una barella diretto verso l’ospedale, nel vano tentativo del personale sanitario di salvarlo.
Assassins: due femme fatale ed un prank show
Ufficialmente dunque, Kim Jong-nam veniva ucciso in pieno giorno in mezzo alla folla da due spietate femme fatale arruolate dai servizi segreti oppure addestrate meticolosamente dai nordcoreani. Tuttavia quei filmati così inequivocabili e lampanti erano solo uno spicchio ambiguo e subdolo di una storia incredibilmente ricca di colpi di scena, ancora oggi lasciata in sospeso da una giustizia inaccessibile e irrisolta, chiusa nei segreti dittatoriali di una nazione che pezzo dopo pezzo si sta allontanando tra la foschia del regime antidemocratico.
Per il giovane documentarista Ryan White (The Keepers, La segretaria dei Beatles, Ask Dr. Ruth) la strana morte del figlio maggiore del precedente leader coreano Kim Jong-il, era una vicenda davvero troppo allettante per lasciarsela sfuggire, e nel 2020, frutto di un lungo lavoro di ricerca e di difficile reperibilità del materiale, confeziona uno dei docufilm politici e giudiziari più coinvolgenti e sconvolgenti degli ultimi anni.
Una ricostruzione accurata e sbalorditiva per gridare ai pericoli spietati di un uomo al comando, pronto davvero a tutto pur di mantenere integra la sua carica acquisita da una linea di sangue, la quale vede tuttora i Kim come discendenti mitologici (e dunque legittimi) del popolo coreano.
Giornalismo d’inchiesta e un docufilm magistrale
Assassins, presentato all’interno della 23esima edizione del Far East Film Festival, procede con lucida disamina alla scoperta tensiva del dietro le quinte di un fratricidio perfettamente calcolato, e lo fa avvalendosi del prezioso contributo della giornalista esperta in politica coreana Anna Fifield del Washington Post; il giornalista di Kuala Lampur Hadi Azmi che ha seguito il caso sin dall’inizio; e gli avvocati di Doan e Siti, nella lotta quotidiana per scongiurare nel processo a loro carico la doppia condanna per impiccagione come previsto dall’arcaico codice civile malesiano.
Con il suo ultimo film, Ryan White riesce perfettamente nell’intento di congiungere la necessaria elencazione di tempi, fatti, svolte, luoghi e complessità geopolitiche del Nord Corea nei riguardi dei paesi diplomaticamente coinvolti, con la costante antropica della vicenda strettamente legata ai diritti umani, di due giovani donne catturate per ingenuità da una complessa rete di affiliati al regime e sfruttate come pedine a proprio uso e consumo. In quel carcere in Malesia infatti, nell’attesa dei cinquanta giorni di processo, conclusi da un doppio colpo di scena, Siti e Doan ci sono state quasi due anni nell’attesa febbrile di una condanna a morte quasi certa, mentre in Corea venivano protetti otto uomini fatti rientrate velocemente e in anonimato nel regime.
Tra spionaggio internazionale, traffico umano, thriller di non-finzione all’epoca dei social e minacce chimiche, Assassins svela a suo modo le dinamiche segrete affiliate alle logiche di potere nel paese coreano, addentrandosi in territori pericolosi e davvero poco confortanti, seguendo la storia e la Storia nella loro doppia interconnessione. “Il mondo reale non è rosa come credevo” dice ad un certo punto Doan, realizzando come fosse epifania esperienziale, la disillusione amara di una realtà pronta davvero a tutto, e di un paese, la Corea del Nord, il cui substrato di diritti e verità ancora dev’essere scardinato. Ma che fortunatamente film come questi, di coraggio e ambizione, sono pronti a svelare.