First Cow recensione film di Kelly Reichardt con John Magaro, Orion Lee, Toby Jones, Ewen Bremner, Scott Shepherd, Gary Farmer e Lily Gladstone
Ti serve del capitale, oppure una specie di miracolo, o un crimine.
(First Cow)
La parabola dell’America quale «una terra ricca», dove ognuno può realizzare i propri sogni, ha caratterizzato la storia del continente a partire dall’arrivo dei primi coloni. Ancora oggi, per molti, è difficile guardare oltre quel velo di possibilità e grandezza che ci è stato raccontato e riconoscere le brutalità commesse al fine di dar vita alla Storia che noi conosciamo. Il genere cinematografico western è, senza ombra di dubbio, uno dei media che più hanno costruito un immaginario iconografico e narrativo degli Stati Uniti del diciannovesimo secolo, una visione romantica dove il territorio di frontiera era rappresentativo di ideali quali libertà e speranza, ma si tratta di un mito.
Il continente americano contemporaneo è stato costruito su un genocidio, il commercio degli schiavi e la miseria in cui la maggior parte di coloro che lasciavano le proprie nazioni, nella speranza di una vita migliore, si trovavano ad affrontare.
Finalmente grazie a MUBI arriva in Italia dal 9 luglio First Cow. Tratto dal romanzo The Half-Life di Jonathan Raymond e diretto da Kelly Reichardt (autrice del montaggio e della sceneggiatura insieme a Raymond) il lungometraggio ha concorso in numerosi festival a partire dal Festival Internazionale del cinema di Berlino sino al New York Film Critics Circle Awards, da dove è uscito con il premio di miglior film.
L’opera western, che allo stesso tempo stravolge il genere a cui appartiene, inizia con una ragazza che osserva una gigantesca chiatta, la quale trasporta centinaia di container lungo un fiume, fino a che il suo cane trova dei resti umani. La giovane inizia a scavare con le sue mani scoprendo due corpi, l’uno accanto all’altro. La storia prende avvio tornando nel passato, all’inizio del XIX secolo nel freddo Oregon, quando Otis Figowitz (John Magaro), un timido e taciturno cuoco soprannominato “Cookie” è in viaggio verso ovest dal Maryland insieme a un gruppo di cacciatori di pellicce di castoro. Mentre raccoglie funghi da cucinare per i compagni di viaggio incontra, nascosto nella foresta, King-Lu (Orion Lee), un immigrato cinese in cerca di fortuna. Cookie decide di salvargli la vita dandogli da mangiare e aiutandolo a sfuggire al gruppo con cui era in viaggio che lo sta cercando per aver commesso un crimine. Un gesto di solidarietà che aprirà le porte a un’amicizia ancora viva due anni dopo, quando si rincontrano per caso in un saloon.
Di nuovo insieme Cookie e King-Lu cercano un modo per realizzare il loro “sogno americano” convinti di avere una possibilità poiché si trovano in un luogo dove la storia non è ancora stata scritta.
First Cow è un racconto dolce e malinconico che attraverso una fotografia delicata a una colonna sonora sontuosa realizza un ritratto autentico di un mondo brutale. Reichardt torna a raccontare la vita rurale dell’Oregon insieme al romanziere Raymond dopo Meek’s Cutoff (2010) interrogandosi sulle vere fondamenta ove gli Stati Uniti sono stati costruiti. A permeare l’immaginario narrativo dell’ultima opera della regista sono infatti due elementi: il capitale e la morte. Sin dalla prima immagine della chiatta per il trasporto merci e il ritrovamento dei due scheletri si insinua nel pubblico l’idea di una vicenda violenta, la quale tuttavia ci viene negata.
Il film si sottrae alla narrazione western classica per l’assenza della glorificazione del mito americano e per la quasi totale mancanza di scene violente, esse segnano la vita dei protagonisti ma non appaiono mai sullo schermo, ad avere visibilità per la prima volta sono gli outsider, coloro che cercano di sopravvivere in un contesto spietato. Sono i piccoli gesti a catalizzare il nostro sguardo, la semplicità con cui Cookie cucina e si rapporta con gli altri, la delicatezza con cui King-Lu si rapporta al timido amico; Reichardt compone il film di immagini ricolme di tranquillità e dolcezza, mentre la spietatezza degli uomini imperversa, esemplificativa è la sequenza che vede il personaggio di Toby Jones rimproverare un capitano inglese di non aver punito a sufficienza un soldato.
Non solo First Cow si libera degli stereotipi che caratterizzano i film western, ma anche di quelli dei film sull’amicizia, i classici buddy movie dove due personaggi opposti combattono contro circostanza avverse, superando differenze e una certa dose di astio reciproco. Cookie e King-Lu costruiscono subito un intesa, una vicinanza che si fonda su gentilezze reciproche, rispetto e comprensione fino a decidere di pianificare il proprio futuro insieme. King-Lu fa affidamento sul talento culinario di Cookie e quest’ultimo decide di affidarsi al piano dell’amico di rubare il latte del sovraintendente (Toby Jones) per realizzare delle frittelle dolci dà vendere al mercato. La prima mucca dell’Oregon che viene trasportata dalla California legata a una zattera è il perfetto simbolo del capitale, non poi così lontano nell’immaginario dal toro di Wall Street, poiché il suo unico scopo è che un ricco proprietario terriero possa bere il latte nel tè, un riflesso tra passato e presente che è la fonte di inquietudine dell’opera: sappiamo che il capitale vincerà.
Reichardt prosegue nella sua filmografia di indagine politico-poetica realizzando un’opera spietata sull’economia americana e la sua genesi, ma non vi è traccia di cinismo. I due sceneggiatori decidono di raccontare i momenti di cura e bontà dei rapporti umani in meno di ventiquattro fotogrammi al secondo, un ritmo lento che consegna alla storia chi ne è sempre stato escluso.