Il grande paese recensione film di William Wyler con Gregory Peck, Jean Simmons, Charlton Heston, Carroll Baker e Burl Ives
Un vecchio comandante di marina, James Mckay (Gregory Peck), scapolo e innamorato di Patricia Terrill (Carroll Baker), figlia di una ricca famiglia, si recherà nel villaggio di San Rafael, nel Nuovo Messico, per conquistare la mano della giovane amata e impadronirsi di una parte delle terre promesse, ma per raggiungere il suo scopo dovrà sfidare a duello prima un giovane pistolero, Steve Leech (Charlton Heston), poi Buck Hannassey (Chuck Connors) figlio di Rufus Hannassey (Burl Ives), capofamiglia di una delle due fazioni contrapposte. James Mckay si troverà in un paese arido e selvaggio, abitato da spietati proprietari disposti a tutto pur di diventare i padroni del luogo.
Il grande paese (in originale The Big Country) è un western corale e sontuoso tratto dal romanzo di Donald Hamilton e portato sullo schermo da William Wyler, uno dei più apprezzati maestri della Hollywood classica.
Com’era da tradizione in queste grandi produzioni, i nomi coinvolti nel cast artistico erano tutti o quasi di spessore: Peck (produttore insieme a Wyler del film), Heston, Baker, Ives e Simmons, segno che l’intenzione era quella di portare più pubblico possibile in sala, attirato dalla presenza delle star dell’epoca.
L’opera del regista di indimenticabili capolavori come Scandalo (1934), Ombre malesi (1940), Piccole volpi (1941), La signora Miniver (1942), I migliori anni della nostra vita (1946), L’ereditiera (1949), Vacanze romane (1953) e Ben-Hur (1959) è assimilabile a un ritorno a casa per il protagonista, come se quelle terre mai esplorate fossero in realtà sempre stati luoghi familiari.
Vedendo il lungometraggio, datato 1958, ci si accorgerà di come Wyler non cerchi mai di dare enfasi all’epica e alla violenza, due dei tanti elementi indistinguibili del genere western, quanto piuttosto alla drammaticità e alla passione del racconto messo in scena.
Non a caso è significativa la scelta di aver dato il ruolo da protagonista a Peck (qui fenomenale come non mai), un attore maggiormente predisposto a interpretare personaggi gentili d’animo e passionali rispetto ad altri mostri sacri come John Wayne o Gary Cooper.
Un western si dal sapore romantico e melodrammatico, che non manca in alcuni punti di premere l’acceleratore sull’azione – bellissima la sequenza notturna in campo largo dove si affrontano a suon di pugni rispettivamente i personaggi di Peck e di Heston – e sulla tensione (memorabili le sequenze conclusive con tanto di contesa all’ultimo sangue tra Peck e Connors).
Nelle sequenze iniziali si potrebbe notare una similitudine con l’immenso capolavoro di John Ford, Sentieri Selvaggi, in particolar modo a livello di canovaccio, ma Wyler cambia ben presto registro realizzando un’opera assolutamente personale e sentita.
Il grande paese non è uno dei lavori più visti del regista tedesco naturalizzato americano, né uno dei più nominati e premiati, visto che furono candidati agli Oscar del ‘59 Jerome Moross per la miglior colonna sonora e Burl Ives come miglior attore non protagonista. Senza contare che a vincere l’ambita statuetta fu solo quest’ultimo, un vero peccato se si considera che il film può contare sulle ottime interpretazioni di Peck, Heston e Baker e su una folgorante fotografia di Franz Planer. Tuttavia, l’opera fa comunque parte della corposa scuderia di titoli del genere western che vale la pena recuperare, sia per come racconta in 166 minuti di goduria assoluta la triste storia di una nazione e di un popolo, sia perché ci sono al suo interno almeno quattro o cinque momenti degni di una pietra miliare del cinema.
Wyler, autore per lo più di commedie e di film drammatici, dimostra le sue capacità di regista sopraffino anche in un genere meno affrontato, senza sfigurare affatto e ottenendo così di essere annoverato nella lunghissima lista dei maestri del western.