Lo scambio di principesse recensione film di Marc Dugain con Lambert Wilson, Anamaria Vartolomei, Olivier Gourmet e Catherine Mouchet
Fan di Versailles, preparatevi, perché Lo scambio di principesse è qui per rispondere a una domanda che, dopo la fine della serie, potreste esservi posti: “E poi che succede?”.
Il film del 2017, nato dagli sforzi congiunti di Francia, Belgio e Regno Unito per la direzione di Marc Dugain, vede quattro giovanissimi attori prendere le vesti di Re e Regine di Francia e Spagna: Igor van Dessel è Luigi XV, Kacey Mottet Klein è Luigi I, la Regina Luisa Elisabetta è stata interpretata da Anamaria Vartolomei e l’Infanta Maria Anna Vittoria dalla deliziosa Juliane Lepoureau.
Facciamo un breve quanto necessario ripasso di storia francese. La scena di apertura è nella reggia di Versailles, nel 1712, all’alba della morte di Luigi. Ma Luigi chi? Luigi XIV (il Re Sole, il Grande, il britannico George Blagden in Versailles), se ricordate, muore nel 1715. A passare a miglior vita nel 1712 è il suo erede, Luigi di Borbone, che, per fortuna, ha a sua volta un figlio maschio, colui che prenderà la corona: Luigi XV, giovanissimo quando sale al trono.
Giovanissimo, appunto, troppo piccolo per regnare: Luigi XV ha bisogno di un reggente, e il suo nome è Filippo II, duca d’Orléans. Dopo anni di guerra tra Francia e Spagna, con varie epidemie che mettono a dura prova la sua terra, Filippo propone a Luigi un’alleanza matrimoniale: se il giovane Re dirà di sì, gli verrà data in sposa Maria Anna Vittoria, l’Infanta di Spagna. Anche Filippo II guadagnerà qualcosa da questo accordo, perché sarà sua figlia, Luisa Elisabetta, ad andare in sposa al Principe delle Asturie Luigi I, Re quando il padre abdicherà.
La pellicola segue, in parallelo, le storie dei due matrimoni dalla decisione strategica di Filippo II alla firma del contratto matrimoniale allo scambio da cui il film prende il titolo.
Peccato che non finisca qui.
Luisa Elisabetta non è innamorata di Luigi I e tiene testa tanto a lui quanto alla famiglia reale spagnola, spesso con atteggiamenti inaccettabili (una tresca con la Quadra, una donna a suo servizio, è solo un esempio di questa serie di comportamenti) che la corte sopporta solo per non rischiare uno scontro con la Francia rimandandola indietro.
D’altro canto, Maria Anna Vittoria è una piccola favorita della corte francese, protetta di Elisabetta Carlotta del Palatinato, la madre di Filippo II. La differenza d’età con il Re, però, è un problema: nella realtà storica, la proposta di matrimonio venne fatta quando l’Infanta aveva tre anni e il Re ne aveva undici. Anche nel film, nella contrapposizione evidente ogni volta che van Dessel e Lepoureau sono in scena insieme, si vede quanto difficoltosa sia come unione. Il Re può essere un bambino a sua volta ma, spinto dai suoi consiglieri, ha bisogno di un erede che, logicamente, l’Infanta non potrà dargli per molto tempo.
Attraverso due salti temporali (uno a quando il Re ha tredici anni, uno di dodici mesi) vediamo Luisa Elisabetta avvicinarsi a Luigi I appena prima che questo muoia di vaiolo. Sapendola rinchiusa e malata in Spagna, conscio dell’indifferenza dei sovrani nei confronti della Regina vedova (che Regina non è più, dato che il Re di Spagna ha ripreso la corona alla morte del figlio), il Re di Francia cede al ricatto morale dei suoi consiglieri: restituisce l’Infanta alla Spagna e chiede che Luisa Elisabetta venga riportata in Francia.
Purtroppo, nella sua lunga, quasi estenuante ora e quaranta la pellicola non risulta soddisfacente. Colpa, forse, dell’aver messo molta carne sul fuoco tra nomi e date e di aver approfondito poco personaggi e sottotrame (sappiamo che un amico del Re di Francia viene internato perché omosessuale, e che questo stesso amico ha approcciato il Re in alcune situazioni, ma non viene detto altro; non sappiamo se la relazione di Luisa Elisabetta con la Quadra sia stata puramente sessuale o anche romantica). Non c’è possibilità di attaccamento ai personaggi, nonostante i loro interpreti siano decisamente bravi e, finalmente, coerenti nell’età.
Due grandi punti a favore sono le luci (la cinematografia in generale) e l’imperfezione.
Già dalla scena di apertura, resa drammatica e simile a un dipinto dall’uso saggio delle luci, ci rendiamo conto del fatto che la fotografia sarà buona, a tratti ottima, comunque sempre soddisfacente. Dal punto di vista visivo non c’è niente da dire. Anzi, c’è un complimento da fare nel ricollegarsi all’imperfezione.
È sconveniente rappresentare la storia così com’era. È ovvio. Ci sarebbe poco da vedere che sia bello. Al tempo stesso, modernizzare come ha fatto Reign, come ha fatto anche Versailles, crea un distacco non sempre positivo.
Lo scambio di principesse ha mostrato personaggi spettinati, abiti meravigliosi ma con difetti evidenti e cuciture in bella vista, carrozze meravigliose con vernice scheggiata, vasi da bagno. E lo ha fatto senza battere ciglio. Perché la storia è amore e intrigo, ma rappresentarla richiede, oltre la ricerca, la disposizione a rappresentare umana imperfezione.