Mondocane recensione film di Alessandro Celli con Alessandro Borghi, Barbara Ronchi, Dennis Protopapa, Giuliano Soprano e Ludovica Nasti
Se c’è una società di produzione in Italia che negli ultimi cinque anni ha saputo creare dei contenuti immediatamente riconoscibili e branded, garantendo agli spettatori un sicuro détour dai canoni standard del nostro paese rilanciando con formule accattivanti e moderne il discorso sui generi, questa è Groenlandia – Groenlandia e Ascent Film, a essere precisi, le due creature gemelle di Matteo Rovere. È a questa doppietta di società che si devono alcune delle produzioni più interessanti degli ultimi anni, dall’instant cult Smetto quando voglio alla commedia storica L’incredibile storia dell’isola delle rose, dal race movie Veloce come il vento a un biopic inaspettato come Il cattivo poeta, per non dimenticare la serie televisiva Romulus, in protolatino.
Mondocane di Alessandro Celli si inserisce perfettamente nel percorso tracciato da Rovere e da Groenlandia, proponendosi come il primo film di fantascienza del brand. In realtà, come quasi sempre capita con i film di questa casa di produzione, con Mondocane ci troviamo davanti a un fecondo intreccio di generi: c’è la fantascienza sì, ma anche e soprattutto il romanzo di formazione più classico, per non dimenticare neanche un certo elemento di denuncia sociale. A ben vedere il Bildungsroman è il vero fil rouge che lega i titoli di Groenlandia e Ascent: tutte storie incentrate su giovani e adolescenti, o adulti in crisi regressiva come i protagonisti di Smetto quando voglio. Per inciso, da un punto di vista produttivo Mondocane non è solo una novità – e una conferma – per Groenlandia e per l’Apulia Film Commission, una delle più lungimiranti e generose di Italia, che qui vede il proprio territorio trasformato in un mondo distopico.
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Siamo in un futuro non molto lontano, a Taranto, trasformata in una città fantasma cinta dal filo spinato in cui nessuno, nemmeno la polizia, si azzarda a entrare – echi del miglior Carpenter a gogò. È in corso una feroce guerra tra poveri, con una gang criminale, le Formiche, capeggiate dal Testacalda interpretato da Alessandro Borghi, in una perenne contesa di territorio con le altre gang. Due orfani tredicenni, Pietro (Dennis Protopapa) e Christian (Giuliano Soprano), cresciuti insieme e mantenuti/schiavizzati da un anziano pescatore, sognano di entrare a far parte delle Formiche, ma solo uno di loro riuscirà a superare la prova d’accettazione: Pietro, che da quel momento in poi viene ribattezzato Mondocane. Le intermittenze nel rapporto tra i due ragazzi sono il vero epicentro del film, con il personaggio di Borghi e in generale tutto il contesto distopico-fantascientifico a fare da sfondo al film, che certo non pecca di assenza di world-building.
Poter parlare di distopia in Italia è liberatorio: l’ambientazione tarantina, peraltro, risulta tutt’altro che casuale, con richiami all’Ilva che sfiorano l’esplicito. Per quanto paragonato a un post-apocalittico d’autore ed esistenziale come La terra dei figli di Gipi e Claudio Cupellini – che al confronto perde – Mondocane è un prodotto abbastanza compatto che rappresenta un piacevolissimo sconfinamento rispetto a ciò che solitamente vediamo nei film ambientati in Puglia. Il personaggio di Borghi non è molto più di una macchietta luciferina, ma riesce a non rubare la scena ai due giovani protagonisti, alla prima prova attoriale e notevoli nelle loro interpretazioni, soprattutto Soprano nel ruolo di Christian/Pisciasotto che soffre di epilessia.
Le citazioni cinematografiche a cult d’oltreoceano non si contano, con il finale che reinterpreta la penultima scena del primo Terminator nel cuore della Puglia, ma al tempo stesso non dobbiamo lasciarci sviare: anche in virtù del suo carattere secondario ma sincero di denuncia sociale contro l’Ilva di Taranto e ai suoi fiumi tossici, Mondocane si riallaccia alla tradizione cinematografica italiana più di quanto appaia a un primo sguardo.
Semplicemente, è una trasfigurazione, laddove una grossissima percentuale dei film prodotti annualmente nel nostro paese si fermano alla mimesi. Del resto, anche un maestro indiscusso del cinema politico italiano e del cinema tout court quale fu Elio Petri girò il suo film di fantascienza, La decima vittima. Il discorso sui generi non può essere disgiunto da un più ampio discorso sul cinema, pena il cadere in un manicheismo.