Illusioni perdute recensione film di Xavier Giannoli con Benjamin Voisin, Gérard Depardieu, André Marcon, Louis-Do de Lencquesaing e Vincent Lacoste
Presentato in concorso alla 78esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il lungometraggio diretto da Xavier Giannoli, Illusioni perdute, uscirà nelle sale cinematografiche italiane il 30 dicembre.
Adattamento del romanzo in tre parti di Honoré de Balzac, rispettivamente I due poeti, Un grande uomo di provincia a Parigi e Eva e David (o La sofferenza dell’inventore), pubblicati tra il 1837 e il 1843, Illusioni perdute racconta la storia del giovane Lucien Chardon (Benjamin Voisin), ambizioso poeta della Francia della Restaurazione. Figlio di un farmacista di Angoulême, lavora nella tipografia del cognato con la sorella dove stampa la sua prima raccolta di poesie firmandosi con il cognome della madre, de Rubempré, una contessa che non ha potuto dare il titolo ai figli. Lucien riuscirà a lasciare la provincia francese per trasferirsi a Parigi seguendo la sua amante Louise (Cécile de France) una nobildonna mecenate delle arti che crede nel talento del giovane.
Arrivati nella capitale, tuttavia, i due amanti si dovranno scontrare con gli intrighi della nobiltà e della borghesia parigina. Tra sostenitori della monarchia e liberali, Lucien verrà coinvolto nelle macchinazioni di un mondo empio dove anche l’arte diventa uno strumento vacuo, non importa il talento o la grandezza di un’opera, ma il pregio che questa può dare a sostenitori o detrattori. Tutto è in vendita e sono i giovani liberali, le cui penne satiriche hanno dato vita ad alcuni dei giornali più graffianti e influenti dell’epoca, a guadagnarne. Lucien inizierà a lavorare per Le Corsaire-Satan sotto la guida dell’amico e direttore Étienne Lousteau (Vincent Lacoste) e Dauriat (Gérard Depardieu) e la sua penna diventerà una delle più influenti di Parigi, ma il successo e la ricchezza richiedono sempre un prezzo.
Xavier Giannoli traspone sullo schermo una delle opere più celebri del maggior esponente del romanzo realista francese del XIX secolo. Illusioni perdute è un’opera monumentale, un vero e proprio manifesto, su cui Giannoli realizza un processo di rielaborazione il più fedele possibile, ma al contempo molto contemporaneo. Il regista francese sperimenta molto nella realizzazione di questo grande lungometraggio in costume, mentre racconta il panorama artistico, sociale e culturale della Francia del XIX secolo.
Nel 1820 la Francia cercava di dimenticare la Rivoluzione e le guerre imperiali tramite i teatri, i giornali e la generale produzione artistica, panem et circenses per distrarre un popolo sempre più scontento rispetto alla monarchia e al sistema nobiliare, i quali a loro volta cercavano di mantenere il potere a fronte dell’opposizione dei liberali. Le parole di Balzac attaccavano i nobili, le oligarchie finanziarie, il governo, la politica e la stampa stessa, la quale prometteva un attacco feroce alle istituzioni, ma si arricchiva grazie ad accordi sottobanco.
Illusioni perdute potrebbe apparire a un primo sguardo come un lungometraggio in costume dalla forma canonica, ma esso rivela in realtà uno sguardo moderno e innovativo su un mondo che santifica o demonizza in base agli umori dei potenti, i quali per noia giocano a distruggere chi ha meno di loro, guardando con diffidenza e disprezzo coloro che non possiedono un titolo. Giannoli affida all’incredibile cast la restituzione di un universo fatto di movimenti e gesti imperscrutabili, i quali riescono a riprodurre la meccanicità e la freddezza di un mondo in cui ogni illusione viene distrutta, e al contempo quell’eccesso dei corpi alla famelica ricerca di un potere inarrivabile.
Benjamin Voisin, Cécile de France, Vincent Lacoste, Xavier Dolan, Salomé Dewaels, Jeanne Balibar, Gérard Depardieu, André Marcon, Louis-Do de Lencquesaing e Jean-Francois Stévenin donano al film una profondità unica e un divertimento coinvolgente, l’amore e la sofferenza dei loro personaggi, così come l’inebriante gioia e i vizzi in cui crollano, vengono restituiti al pubblico con potenza. Il giovanissimo Voisin, vincitore del premio César nel 2021 per Estate ’85, si confronta con la grandezza di un attore quale Depardieu e il carismatico Lacoste, poco più grande dell’interprete del bel Lucien, eppure con già una lunga carriera alle spalle. I tre attori si muovono, insieme al resto del cast, come in una coreografia, una danza all’eccesso tra fiumi di champagne a cui seguirà una rapida e convulsa caduta.
L’ascesa e la discesa di Lucien sono metafora di tutti coloro che cercano il proprio posto nel mondo con ambizione e senza voler cedere ai compromessi di un mondo cinico pronto a usarti come un pedone su una scacchiera per poi sacrificarti nel momento in cui non ha più bisogno di te.
Tra passato e presente, lealtà e tradimento, denaro e povertà, potere e impotenza, Giannoli non cede mai a facili allusioni ciniche o romantiche su un mondo crudele o un ideale utopico. Egli, invece, partendo dalle parole di colui che rivoluzionò il romanzo d’appendice, creatore di mondi specchio del suo tempo, porta sullo schermo una grande commedia umana fatta di splendore e miseria. La colonna sonora avvolgente, ricca di leitmotiv, la fotografia calda, i cui colori saturi non perdono il proprio realismo, e la formidabile recitazione di Voisin sono parte integrante del tragico racconto, un affresco culturale e sociale dominato dalla parabola della perdita dell’innocenza. Per citare La Baronessa di un altro film in concorso all’ultima Mostra del Cinema veneziana, È stata la mano di Dio, “L’umanità è orrenda, te l’hanno detto?“.