Euphoria 2 recensione Episodio 1 serie TV Sky di Sam Levinson con Zendaya, Hunter Schafer, Nika King, Eric Dane, Angus Cloud, Jacob Elordi, Algee Smith, Sydney Sweeney, Alexa Demie e Maude Apatow
Il periodo tormentato dell’adolescenza è pervaso da una sensazione: tutto ciò che ti accade, non importa quando grande o piccolo, assume un peso iperbolico. Ogni cosa positiva, ogni incontro felice sembra poterti condurre verso il paradiso, mentre ciò che è negativo sembra trascinarti all’inferno, verso l’ultimo e più terrificante girone. Iperbolica come tali sentimenti Euphoria riesce a catturare tutti gli stati d’animo più estremi dei suoi personaggi e personagge.
Euphoria: L’eccesso a metafora del reale
Beverly Hills 90210, That ’70s Show, The OC, Gossip Girl, Glee e molte altre sono state le serie TV che hanno raccontato nel corso degli anni l’adolescenza con tinte a volte soap operistiche, drammatiche o comiche. Negli ultimi anni nessuna serie TV è stata più rappresentativa e innovativa nel raccontare i teenager come Euphoria. Creata e scritta da Sam Levinson per l’emittente televisiva HBO, il primo episodio è stato trasmesso il 16 giugno del 2019 e sin da subito è stato chiaro che eravamo di fronte a una delle migliori serie che la televisione avesse prodotto negli ultimi anni.
La prima stagione si concluse con l’episodio And Salt the Earth Behind You lasciando la narrazione sospesa. Levinson arrestò il vortice di dolore che imperversava su ogni personaggio facendolo precipitare in un abisso. L’audacia dell’autore di Euphoria non si ferma qui, Levinson compie una scelta ardua narrativamente, ma anche esteticamente: il finale della prima stagione è un vero e proprio videoclip musicale, una scelta che distrugge qualsiasi legame con il reale, metafora della perdita di controllo di Rue assuefatta dagli stupefacenti. L’essenza stessa di Euphoria risiede in questa sequenza, in un costante dissacrare se stessa, andare oltre qualsiasi limite, sperimentare quanto più è possibile nella realizzazione di messe in scene astratte, ricche di simbologia e destinate a spettatori e spettatrici attenti, curiosi e intrigati da questo mondo di eccessi che al suo massimo è una perfetta parabola del reale.
Ricomincia il viaggio tra dolore e speranza
Durante la lunga pausa produttiva causata dalla pandemia di Covid-19, l’autore di Euphoria Sam Levinson ha scritto e diretto due episodi speciali ciascuno incentrato sulle due personagge principali. Nel primo di questi Rue (Zendaya) che si confida con il suo sponsor Ali (Colman Domingo) dopo una riunione degli alcolisti anonimi, nel secondo vediamo invece Jules (Hunter Schafer, co-autor* dell’episodio insieme a Levinson) alle prese con i suoi sentimenti nei confronti di Rue e della transizione di genere durante una seduta di terapia. Trouble Don’t Last Always, primo dei due episodi speciali, è un racconto fatto di sensazioni, il quale si muove unicamente su due attori in dialogo tra loro e che ha restituito la migliore performance di Zendaya, ma soprattutto, si tratta della puntata più rappresentativa della serie TV stessa: un viaggio verso la speranza che ci lascia – come spettatori e spettatrici – senza risposte ne certezze. Trouble Don’t Last Always è una costruzione metafisica, quasi cristologica, tra i diversi piani d’esistenza, qui metafore perfette per descrivere gli stati d’animo, i sogni e le paure di Rue. Limbo, paradiso, inferno e purgatorio sono caratterizzati da specifici codici estetici-formali. Il viaggio simbolico diventa effettivo quando Rue si mette in macchina con Ali per raggiungere casa, in sottofondo in questo tragitto sospeso nel buio della notte alla radio viene riprodotta l’Ave Maria.
Speranzosi e anche un po’ ingenui salutiamo Rue per riabbracciarla in questo nuovo episodio dove ritroviamo tutti i personaggi della prima stagione. Trying to Get to Heaven Before They Close the Door, il primo episodio della seconda stagione, si svolge quasi interamente all’interno di una casa durante i festeggiamenti di capodanno. La fine di ogni anno è un passaggio sospeso tra passato e futuro, un confine attraverso il quale Levinson “riconnette” tutti i protagonisti, di nuovo in relazione tra loro all’interno di messe in scena elaborate, coreografie meticolose e bellissime che lasciano senza fiato. Affascinati nuovamente da questa storia, dai suoi personaggi e personagge, gli spettatori vengono nuovamente intrappolati in un vortice verso la distruzione dove la speranza anelata sembra così vicina, ma si rivela tragicamente irraggiungibile. Tutto volge irrimediabilmente a frantumarsi in questo bellissimo racconto, nessuno sembra potersi esimere da questo tragico percorso per quanto anelino alla redenzione.
Euphoria trabocca oltre i confini della serialità
Nei primi minuti di apertura di Trying to Get to Heaven Before They Close the Door una donna marcia in uno strip club irrompendo in una stanza sul retro dove si trova uno uomo a cui spara ad ambedue le gambe. Quest’ultimo è il padre del giovane Fezco (Angus Cloud), la donna che gli ha appena sparato sua nonna Kitty (Katherine Narducci). Ella lo porta a vivere con sé e insegna lui tutto quello che sa sul traffico di droga facendolo divenire a tutti gli effetti suo complice e socio sulle note di Jump into the Fire di Harry Nilsson. Giunti alla fine del prologo veniamo catapultati all’interno di una “selvaggia” festa di capodanno. Euphoria combina una narrazione adrenalinica alle storie più drammatiche, un’unione volta a ottenere il massimo effetto sia del racconto sia estetico. Anche la semplice sequenza di un house party, elemento tipico dei teen drama, costituisce un unicum.
Il contenuto, il ritmo e il taglio delle sequenze sono rapidissimi, tutto volge all’eccesso. Euphoria non descrive solo gli impulsi più oscuri, ma libera i suoi protagonisti e, più di tutto, i suoi spettatori. A questi ultimi davanti all’autodistruzione di una gioventù disperata, persa in una realtà che non sembra fornire né pace né futuro, viene concesso il privilegio di osservare e vivere una profonda catarsi del reale attraverso una serie dall’audace bellezza e arte. Levinson spoglia i personaggi e li mostra nella loro intimità, espone tutte le loro paure e angosce, indagando, in un’atmosfera smisurata, l’adolescenza, le relazioni tossiche, gli abusi, lo scontro generazionale di famiglie che hanno lasciato i loro figli perdersi, incapaci di essere un punto di riferimento. Oltre a ciò la serie affronta numerosi temi attuali: dalla tossicodipendenza alla malattia mentale fino all’amore e al gender, tematiche al cui servizio Levinson mette la propria penna, impegnandosi a percorrere direzioni creative sempre più audaci e capaci di valicare ogni confine narrativo.
Euphoria, in ogni suo aspetto, trabocca nuovamente oltre i confini della serialità, vuole di più, vuole fare di più, andare sempre più in profondità e scatenare l’emozioni del pubblico. Le scelte artistiche di Levinson non solo distinguono la sua creazione dal resto del panorama televisivo attuale, ma inebriano i suoi spettatori davanti a figure narrative che non sono né eroi né antieroi, ma figure in movimento, complesse, ancora alla ricerca della definizione del proprio sé. Davanti a questo stratificato racconto fatto di dolore e sofferenza non è possibile distogliere lo sguardo, smettere di guardare come una storia possa trasformarsi in arte. Siamo tutti smarriti in Eurphoria, dentro e fuori lo schermo, cerchiamo di trovare un punto a cui ancorarci ma inevitabilmente ci facciamo trasportare dall’autore dove desidera anche se significa perderci nuovamente. Alla fine l’unico vero punto di riferimento rimane l’infiammante bellezza di Euphoria stessa.