I cassamortari recensione film di Claudio Amendola con Massimo Ghini, Gian Marco Tognazzi, Lucia Ocone, Edoardo Leo, Sonia Bergamasco e Piero Pelù
“Tutti devono mori’, ma solo in pochi ce guadagnano”. Questo il motto della famiglia Pasti, protagonista de I cassamortari; nuovo film di Claudio Amendola, che dopo La mossa del pinguino (2013) e Il permesso – 48 ore fuori (2017) torna alla regia con una commedia nera graffiante e attualissima.
Il film, co-produzione italo-spagnola tra la Paco Cinematografica e la Neo Art Producciones è distribuito da Vision Distribution e dal 24 marzo sarà disponibile su Amazon Prime Video.
La famiglia Pasti gestisce un’agenzia di pompe funebri da generazioni. Dopo la morte del fondatore (Edoardo Leo), uno spregiudicato disposto a tutto per trasformare la sua piccola attività in un business senza concorrenti, la gestione passa nelle mani dei quattro figli: Maria (Lucia Ocone), Giovanni (Massimo Ghini), Marco (Gian Marco Tognazzi) e Matteo (Alessandro Sperduti).
Grazie alla gestione altrettanto spudorata dei figli, la Fratelli Pasti Onoranze Funebri diventa negli anni una società leader di settore, almeno finché non riemergono gli innumerevoli illeciti fiscali su cui l’impero è basato. Sarà la morte del noto cantante Gabriele Arcangelo (Piero Pelù), morto di overdose durante una campagna di sensibilizzazione contro le droghe ad offrire alla Pasti la possibilità di pagare i propri debiti con il fisco, riunificare la famiglia divisa dai continui litigi interni e di sbarazzarsi della sempre più nota concorrenza: i Taffo.
Il film di Amendola parte da quel “Pecunia non olet” di vespasiana memoria (70 d.C. circa), lo infarcisce di profondi riferimenti al cattolicesimo al limite della blasfemia e lo condisce con una romanità sprezzante al tempo dei social; beffarda ma mai volgare.
Solo un profondo conoscitore della società capitolina poteva avventurarsi in strade così scivolose con eleganza e disinvoltura, confezionando un prodotto davvero attuale, lucido e autoironico. Con I cassamortari ci si interroga sulla morte e sul lutto in una società ormai dominata dai social e dal marketing. Una società cieca che macina like e che vive di hype disperdendo valori e morale nel tentativo prometeico di lucrare ossessivamente su tutto.
“Mamma quanti dischi venderanno se mi spengo” cantava Caparezza in una sua celebre canzone e il film parte un po’ da questo concetto; dalla morte di Gabriele Arcangelo, nota pop star la cui dipartita verrà sfruttata dai fratelli Pasti prima, e dalla propria famiglia poi, per massimizzare i propri interessi organizzando funerali imponenti con possibilità di selfie col morto e performance di resurrezione come un novello Gesù Cristo.
Ironico, dissacrante e con un cast fenomenale, in cui sopra tutti spicca una inarrestabile Lucia Ocone, I cassamortari riflette sulle psicopatologie della società contemporanea e il suo ossessivo tentativo di appianare il dolore attraverso i social utilizzando strumenti alle volte subdoli come fake news e campagne marketing martellanti.
Unica critica di una pellicola che riflette lucidamente sulla contemporaneità è il tentativo sempre molto italiano (per citare il meno italiano dei prodotti seriali che è Boris) di ricondurre tutta la svolta narrativa, il plot twist che dà inizio all’ultimo atto del film, allo svilupparsi del rapporto di coppia come ancora salvifica e alla svolta moralistica poco pragmatica in cui i soldi sono sempre meno importanti dell’etica che è ormai un cliché trito e ritrito, che non convince se non viene approfondito adeguatamente.
Geniale invece il vero finale del film: lo schiaffetto correttivo ad un’intera generazione senza dolore, che preda di un’isteria produttiva collettiva rischia di consumarsi dall’interno.
Rimanere in sala fino alla fine per godere di un cameo magistrale.