Le vele scarlatte recensione positiva del film di Pietro Marcello con Louis Garrel, Noémie Lvovsky, Juliette Jouan, Yolande Moreau e Ernst Umhauer
Non è una novità che Pietro Marcello ambienti un lungometraggio nel passato. Non è neanche una novità che, per dare questa impressione di realismo in più, faccia largamente uso di materiale d’archivio e filmati d’epoca. Così, d’altra parte, aveva fatto con Martin Eden (2019), film tratto da un romanzo – proprio come Le vele scarlatte – ma dotato di una forte impronta “documentaristica”. C’è una grande attenzione, da parte del regista, a rendere il film “veramente” antico, vecchio: i filmati risalenti al primo dopoguerra, gli accurati effetti di color correction – oltre alle riprese in pellicola – non sono soltanto un vezzo cinematografico per lasciare sulla pellicola una patina vintage.
Protagonista di questo racconto di formazione è Juliette Jouan, attrice al suo primo ruolo (anche se non si direbbe affatto, da tanto che spicca in questo personaggio che sembra esserle stato cucito addosso su misura), che interpreta il personaggio di Juliette, giovane donna francese cresciuta dal padre Raphael (Raphael Thiery) e da Adeline (Noémie Lvovsky), proprietaria della fattoria in cui tutti insieme vivono. La storia, tratta dal romanzo Le vele scarlatte di Alexandre Grine, prende le principali caratteristiche del modo di scrivere dello scrittore russo, modificandone però l’ambientazione e alcuni importanti tratti caratteriali dei personaggi che gravitano intorno a Juliette.
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Il titolo del romanzo – come anche del film – deriva da una profezia che viene pronunciata alla ragazza da parte di una “maga” del villaggio, cioè che un giorno delle vele scarlatte verranno a salvarla, a portarla via dalla realtà in cui vive per viaggiare il mondo e realizzarsi come persona. La storia, costellata di elementi magici, profezie, incantesimi e maghe, assume quindi un aspetto favolistico e quasi surreale ma senza mai perdere di vista lo sviluppo della vita della protagonista, di cui lo spettatore segue ogni passo, da neonata fino a che non diventa la donna indipendente che da sempre era destinata ad essere. La storia, pur essendo ambientata quasi un secolo fa, non dà mai l’impressione di essere “vecchia” nella narrazione, anche grazie ad alcuni accorgimenti che sono stati adottati nella trasposizione da romanzo a film. Juliette, ormai adolescente, incontra per caso un giovane pilota d’aerei, Jean (Louis Garrel) che capita nei pressi del villaggio per un guasto al mezzo: fin da subito, l’arrivo di questo aviatore porta buoni presagi (non saranno le vele di una nave a portare via la ragazza ma alcuni nastri rossi legati alle ali dell’aereo) e infonde speranza non solo nello spettatore, che tiene in mente la profezia, ma anche in Juliette.
Se nel romanzo (scritto nel 1916 ma pubblicato sei anni dopo) il personaggio di Jean si configura come il classico principe azzurro incaricato di salvare la principessa in pericolo, nel film non si ritrovano precisamente queste caratteristiche – decisamente anacronistiche per non dire sessiste. Jean irrompe nella vita di Juliette portando una serie di novità: viene da fuori, ha girato il mondo, conosce molti paesi e persone; arriva nel piccolo villaggio rurale, isolato e periferico, con un aereo, uno strumento modernissimo che prima d’ora Juliette aveva visto soltanto come modellino di giocattolo in legno. Juliette, che da sempre è stata emarginata insieme alla sua famiglia dai bigotti abitanti del villaggio, soprattutto per credenze inesistenti e pregiudizi senza fondamento, non si sente giudicata da Jean e – per quanto la situazione della ragazza non sia tra le migliori – non ha bisogno di essere salvata: sa difendersi, sa che cosa è giusto e sa combattere per i suoi ideali.
Non solo, quindi, viene meno l’aspetto del principe azzurro, ma addirittura i ruoli arrivano a rovesciarsi, quando, alla fine, è Juliette a soccorrere Jean in seguito ad un incidente aereo. Il pilota non porta solo uno sconvolgimento nella vita della protagonista ma anche una ventata di modernità: con il suo arrivo sulla scena si contrappongono due mondi apparentemente incomunicabili e inconciliabili, la campagna e la città, dualismo molto ricorrente nella letteratura del XX secolo e in una certa misura, già presente anche nel precedente Martin Eden. All’aviatore non interessa che cosa tutti hanno da dire nei riguardi di Juliette: segue il suo cuore fin dal primo momento in cui vede la ragazza, o meglio, sente la ragazza.
L’amore tra i due esplode in modo non convenzionale e decisamente favolistico: mentre sta facendo un bagno nel lago, in attesa che il suo aereo venga riparato, Jean sente in lontananza la ragazza cantare e subito è attratto dal suono della sua voce, un po’ come nella letteratura medievale ricorreva il topos dell’innamorarsi “da lontano”, per sentito dire, innamorarsi più di un’idea che della persona effettiva. Il tema del canto, della voce angelica che lo straniero sente, sono tutti luoghi comuni di una precisa letteratura, nata in ambiente cortese e dotata di precise caratteristiche: l’innamoramento, la perdita degli amanti, il superamento di un pericolo e, infine, il ricongiungimento tra i due ma è proprio in questo senso che l’adattamento dal romanzo funziona perfettamente, Marcello riesce a tenere i principali punti della storia ed il suo orizzonte favolistico, senza però cadere in stereotipi della letteratura ormai superati e banali; per quanto l’atmosfera di irrealtà, piena di coincidenze, faccia da sfondo alla storia che scorre, lo spettatore cede volentieri a sospendere la sua “credulità” di fronte alla storia, che riesce a catturarlo e a coinvolgerlo pienamente nel vivo del racconto.
Jean arriva nella vita di Juliette in volo e questo è sicuramente uno dei principali temi del film, non soltanto il titolo originale, inteso come volo vero e proprio, fisico, quello che per mestiere deve fare l’aviatore, ma inteso anche in senso metaforico, come il volo fuori dal nido familiare che Juliette dovrebbe spiccare ma che non arriva mai a compiere. Fin da bambina, infatti, la protagonista dimostra grande intelligenza, emotiva e non, per cui, quando gli viene offerto dalla maestra della scuola un posto per studiare in città in uno dei migliori collegi, il padre Raphael non ne rimane sorpreso. Juliette, però, non abbandonerà mai la fattoria dove è nata e cresciuta e resterà sempre a fianco del padre e delle persone che hanno aiutato Raphael a tirare su la figlia, aiutandolo sempre per quanto le è possibile. Juliette, quindi, per quanto ammaliata da una profezia – che in parte sembra avverarsi – resta fino in fondo padrona del proprio destino, padrona delle proprie scelte, in modo indipendente e fiero in una storia malinconica e profondamente nostalgica, ma anche piena di speranza per il futuro di una giovane donna che sa come affermarsi nel mondo.