Black Phone recensione film di Scott Derrickson con Ethan Hawke, Mason Thames, Madeleine McGraw, Jeremy Davies, James Ransone e E. Roger Mitchell
La trama di Black Phone non può sfuggire a una certa sensazione di già visto: nella provincia americana degli anni 70 un uomo misterioso rapisce adolescenti, e viene soprannominato dai media e dai locali come il Rapace. Quando il giovane Finney viene rapito, qualcosa nella dinamica tra vittima e preda cambia e i tempi della prigionia si dilungano, mentre sua sorella minore impiega tutte le sue forze – inclusi insospettabili poteri da veggente onirica – per salvarlo prima che il Rapace si decida a ucciderlo.
A ben vedere, lo stesso limite narrativo che inficia l’originalità del suo villain rappresenta anche il principale limite del film. Black Phone è composto essenzialmente da variegati elementi tipici del canone narrativo horror, messi insieme in un modo tutto sommato non ancora visto, se non altro per l’ampiezza del numero di diversi canovacci adottati. Senza indulgere in spoiler, abbiamo da un lato il topos del mostro mangia-teenager, poi quello del cattivo psicotico e latentemente pedofilo, c’è il motivo della maschera con tutto ciò che di antropologico e di metanarrativo si porta dietro, c’è una bambina con poteri paranormali e c’è un ulteriore saliente elemento “metafisico” nel colpo di scena collegato al telefono nero che dà il titolo al film.