Nido di vipere recensione film di Kim Yong-hoon con Jeon Do-yeon, Jung Woo-sung, Youn Yuh-jung, Sung-Woo Bae e Hyeon-bin Shin
Nido di vipere è il film di debutto alla scrittura e alla regia di Kim Yong-hoon, basato sul romanzo giapponese di Keisuke Sone dallo stesso titolo. La pellicola spazia dal genere della dark comedy a quelli crime e thriller seguendo le vicende di tre personaggi in particolare, su uno sfondo che si muove tra la città di Pyeongtaek e la capitale del paese, Seoul: Joong-man, impiegato in una sauna, Tae-young, che lavora come doganiere, e Mi-ran, escort in un night club.
A far incrociare le loro vite è una misteriosa borsa contenente molto denaro che fa la sua comparsa in uno degli armadietti della sauna dove lavora Joong-man, dimenticata da un cliente. L’uomo non rivela a nessuno del prezioso contenuto e la ripone nel magazzino tra gli oggetti smarriti. Sarà proprio la borsa che guiderà lo spettatore all’interno delle vicende che animano la narrazione, portandolo a conoscere ovviamente anche altri personaggi, come il signor Park, col quale Tae-young è indebitato e Yeon-hee, proprietaria del night in cui lavora Mi-ran, nel tentativo di capire a chi appartenga originariamente la borsa, il motivo del suo prezioso contenuto e chi l’abbia lasciata lì e perché.
I tre personaggi principali sembrano non avere nulla in comune, ma in realtà condividono la volontà di cambiare la propria vita, per motivi diversi: Mi-ran è vittima di violenza domestica e psicologica da parte del marito, Tae-young rischia di pagare il suo debito con la vita e Joong-man fa un lavoro miserabile e non guadagna abbastanza per pagare l’università della figlia mentre deve anche prendersi cura della madre. Per farlo, tuttavia, si affidano alle persone sbagliate e il baratro nel quale si ritrovano non farà altro che allargarsi fino ad inghiottirli completamente.
Nido di vipere è diviso in sei capitoli, struttura che ricorda tantissimo quella di un libro ed esattamente come all’interno di un romanzo la narrazione prosegue avanti e indietro nel tempo. Oscillando tra i vari flashback e fast forward ci si ritrova a prestare attenzione anche ai minimi dettagli, come i servizi al telegiornale che compaiono in sottofondo e gli aneddoti che raccontano i personaggi.
Kim Yong-hoon costruisce la sua opera prima con grande astuzia, stuzzica la mente e spinge a fare collegamenti, accattivante nei suoi risvolti di trama e con situazioni anche particolarmente comiche. È interessante vedere la rappresentazione a volte cruda, a volte ironica, dell’animo umano e il modo coinvolgente in cui scrittura e regia lavorano sinergicamente insieme per creare un film appassionante, perfetto per chi ama i thriller.
Questa sapiente costruzione si conferma anche nel gran finale rivelatorio, in modo ironico e un po’ irrisorio, quasi a sottolineare il caso dell’esistenza, dal quale non si può scappare, ma semplicemente sperare che giochi a nostro favore.