I signori dell'acqua

I signori dell’acqua presentazione documentario di Jérôme Fritel

L'inesorabile privatizzazione delle risorse idriche nei cinque continenti

I signori dell’acqua presentazione documentario di Jérôme Fritel e Patrice Des Mazery

“Siamo a un bivio e non so chi vincerà. Bisogna decidere se l’acqua è un bene da mettere sul mercato o se va considerata un diritto inalienabile. Non c’è una terza via ed è il momento di schierarsi”.

Le parole di Maude Barlow – attivista e presidente nazionale del Council of Canadians – risuonano come un ultimatum. Lei ha scelto già da molto tempo da che parte stare.

È infatti grazie alla sua battaglia contro la privatizzazione dell’acqua se, nel 2010, l’Assemblea Generale dell’ONU ha riconosciuto questa risorsa come bene pubblico. Ciononostante, la lotta di questa donna coraggiosa non è che all’inizio. Le vittorie ottenute, gli innumerevoli riconoscimenti internazionali, persino il sostegno del Comitato del Premio Nobel non le consentono alcun rilassamento: il cambiamento climatico, la rincorsa allo sfruttamento delle risorse naturali alimentata dal liberismo sfrenato, l’assenza di un’etica del profitto fanno sì che persino il libero accesso all’acqua – fonte di vita per eccellenza – venga messo in pericolo, ed anzi, in alcune aree del nostro pianeta sia già negato.

Jérôme Fritel, giornalista e regista francese, con I signori dell’acqua (Main basse sur l’eau) realizza un’inchiesta internazionale sul lento ma implacabile processo di privatizzazione di questo bene fondamentale e sui pericoli ad esso connessi. Prende le mosse dal Regno Unito, dove, più di trent’anni fa, tutto ciò ha avuto inizio: è stato allora, infatti, che, grazie alle ricette ultraliberiste dell’allora Primo Ministro Margaret Thatcher, ha cominciato a tessersi il legame tra profitto e acqua. I risultati furono disastrosi: migliaia di persone, tra cui molti anziani, vennero costrette a mettersi in fila per rifornirsi alle fontane pubbliche; l’incolumità pubblica, l’igiene personale, persino la dignità, spazzati via in un sol colpo: “non si faceva la fila per l’acqua neanche durante la guerra”, si sente affermare un’attempata signora in un filmato dell’epoca.

Una pratica, questa appena descritta, durata a lungo oltremanica, e rilanciata nel terzo millennio dai fondi avvoltoio, i quali, dando mostra del volto peggiore del capitalismo finanziario, hanno dapprima spremuto le tasche dei cittadini per poi – come nel caso della rete idrica di Londra – fuggire via lasciandosi dietro debiti di miliardi di dollari.

È successo che l’intero sistema, dalle infrastrutture fino alle concessioni, è stato venduto a società private. Queste aziende hanno subito cominciato tagliando la fornitura idrica a chi non pagava le bollette [tagli vietati per legge soltanto dieci anni dopo (n.d.r.)]. Un’azienda è arrivata a tagliare undicimila utenze, senza preoccuparsi delle conseguenze sociali: se non pagavi la bolletta, niente acqua […] Alle imprese non importa se qualcuno muore di colera. Il loro obiettivo è fare soldi”.

È quanto ci rivela David Hall, ricercatore universitario di Greenwich, che nel 2017 ha pubblicato uno studio in cui si riassumono trent’anni di pratiche illecite: bollette rincarate per utili maggiori, evasione fiscale; il tutto – ça va sans dire – a carico dei consumatori.
Il risultato è che oggi più dell’80% dei britannici vorrebbe tornare ad un regime di acqua pubblica, accessibile e a basso costo.

Dopo la Gran Bretagna, Fritel si sposta in Australia. Anche qui, a causa della forte siccità, l’acqua è oggetto di privatizzazione.

Se paghi dai valore alla risorsa, così impareremo a rispettarla” – sostiene Tom Rooney, amministratore di una società leader nel settore idrico.

E già, perché – afferma l’economista Mike Young, professore all’Università di Adelaide – “la scarsità d’acqua è già un dato di fatto che segnerà il futuro del mondo. Entro il 2050 più della metà del pianeta avrà un accesso limitato all’acqua. L’era dell’abbondanza è finita”.

Insomma, a parer loro, la mercificazione di quello che significativamente viene chiamato “oro blu” sarebbe l’unico modo per indurne un consumo responsabile. Un punto di vista, questo, che lascia qualche dubbio, specie se si considera che, nel nome di tale presunto atto di responsabilità, molte delle riserve idriche del Paese sono finite nelle mani dell’alta finanza, e che, a causa dell’impennata dei prezzi, molti allevatori sono stati spinti sulla soglia del fallimento.

I grandi investitori si accaparrano l’acqua. Sembra di essere ai tempi dei feudatari e dei servi della gleba” – afferma Bart Dohan, uno di loro – “Se vogliamo restare sul mercato, dovremmo comprare l’acqua al prezzo stabilito da loro. È il nuovo Medioevo”.

Quanto sostengono i fautori australiani della privatizzazione non è difforme da quanto pensano a New York, dalle parti di Wall Street. Anche qui la speculazione su tale risorsa è indorata dal mantra del consumo responsabile. E poco importa il rilievo che si tratti di un bene vitale: nell’ottica del profitto ad ogni costo, tutto deve avere un prezzo; con buona pace dell’etica e del rispetto dei bisogni altrui.

Vanno un po’ meglio le cose nell’Europa continentale, dove Fritel conclude la propria indagine. Qui i cittadini sono l’avanguardia della resistenza. Le rivolte dal basso sorte nelle più importanti capitali del Vecchio Continente hanno impedito che si proseguisse sulla strada della privatizzazione di questa fondamentale risorsa. Già, ma quanto durerà?

Insomma, ci troviamo davvero davanti a un bivio. Fare la scelta giusta, difendere l’acqua come bene pubblico o lasciarla nelle mani del capitalismo più avido e spietato significa compiere un passo decisivo per il futuro del benessere collettivo. Ed è per questo che occorre consapevolezza: per evitare che, in una società cannibalizzata dal mito del denaro e della ricchezza materiale, i diritti fondamentali e inalienabili – appartenenti a chiunque a prescindere dalla propria condizione – vengano ridotti a merce di scambio. Perché, in nome del libero mercato, della competizione e del profitto, non vengano definitivamente rimossi i principi di solidarietà ed equità che rendono ogni aggregato umano una società. Perché, per concludere con il saggio “zio” Muggie, anziano del popolo aborigeno Ngarrindjeri, in Australia, “l’acqua è una parte della nostra identità […] Comprare, vendere: che senso ha? Riempire i bacini per garantirsi un profitto. Appropriarsi dell’acqua e toglierla a tutti gli altri: sembra una follia, ma nasce dall’avidità”.

Sintesi

Il documentarista francese Jérôme Fritel fa il giro del mondo per sensibilizzare sulle difficoltà dell'accesso alle risorse idriche, limitato da un implacabile processo di privatizzazione

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