Chiara recensione film di Susanna Nicchiarelli con Margherita Mazzucco, Andrea Carpenzano, Carlotta Natoli, Paola Tiziana Cruciani e Luigi Lo Cascio
La sguardo di Susanna Nicchiarelli si volge al mondo ecclesiastico e trova in Chiara una figura che merita di essere raccontata. Persona prima che santa cattolica, perché qui non si parla della santa, ma della donna dietro dietro l’icona religiosa. Non dovrebbe esserci velleità spirituale, non si dovrebbe indugiare sulla mistica, mentre prevale il compito di svelare attitudini e dinamiche di un mondo sordo all’esigenza di riconoscere una parità di intenti oltre che di genere.
Chiara (Margherita Mazzucco) vorrebbe svelare “le cose più rare”, quelle che sfuggono ad agiografie e canonizzazioni e si nascondono nella pratica della vita. La regista si serve del lavoro di Chiara Frugoni, storica medievale che ha collaborato al film e a cui è espressamente dedicato, per collocare la santa nella storia e nei dintorni di Assisi e raccontarne la radicalità delle posizioni. Per saldare questo al mistero religioso, la figura di Chiara vive, anzi “subisce“ un rapporto col divino quasi incidentale che aggiunge mattoncini alla leggenda dell’immaginario ecclesiastico. I miracoli la colpiscono e la rivelano al mondo, ma finiscono per appesantire il vero prodigio di Chiara-donna: la rivoluzione di un mondo che le sta stretto.
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La consapevolezza politica di una figura capace di inserire una nuova visione della donna nel canone ecclesiastico si disperde nel tentativo di far conciliare il sacro e il profano e renderli impari protagonisti. Il volgare scelto come lingua è solo un contesto che non si trasforma in un approccio storico alla spiritualità. Meglio insistere sulla natura dei miracoli come marketing canonico – la guarigione del bambino – e sulle azioni diventate volgata popolare per esprimerne i contenuti rivoluzionari.
Il problema di Chiara è aver incontrato la vena creativa di Susanna Nicchiarelli nel suo terzo atto. La contemporaneità che la regista italiana ha donato alle storie confluite in Nico, 1988 e Miss Marx con entusiasmo si mostra qui strumentale a un disegno intellettuale che non abbandona il faldone della sceneggiatura. Tenuta a dimostrare il suo potenziale, finisce per perdersi nell’onere di concludere un’involontaria trilogia sulla donna.