The Offering recensione film di Oliver Park con Nick Blood, Emily Wiseman, Paul Kaye, Allan Corduner e Jodie Jacobs
Oliver Park dirige The Offering, un horror che va dritto al punto costruendo un’atmosfera inquietante e toccando tutti i tasti giusti per spaventare efficacemente il pubblico. Il film apporta poche novità e forse arriva un po’ in ritardo per i fan del genere. Per la sua cifra stilistica, infatti, negli anni ’70 – ’80 sarebbe stato straordinario e originale.
L’approccio è comunque interessante: Art (Nick Blood), insieme a sua moglie Claire (Emily Wiseman), torna a casa con la speranza di riconciliarsi con suo padre Saul (Allan Corduner), un ebreo ortodosso molto osservante. Il ritorno di Art ha però un doppio fine: trovandosi disperato nel tentativo di saldare i suoi debiti, cerca di manipolare il padre spingendolo a vendere l’azienda di famiglia, un’impresa di pompe funebri. Inconsapevolmente, il protagonista scatena un antico demone che si impossessa delle anime dei bambini ed ora punta a sua moglie incinta.
Una trama horror impreziosita con mitologia mediorientale: infatti il regista e lo sceneggiatore Hank Hoffman introducono una figura satanica femminile, Abyzou. Contrariamente ad un film di estrazione cattolica con Lucifero come avversario tradizionale, qui incontriamo un demone femminile, Abyzou appunto, chiamata anche “ladra di bambini”. Questa entità assume diverse forme ed è in grado di giocare con la percezione della realtà della persona posseduta.
The Offering non è il primo horror che affronta il tema della possessione demoniaca, ma cerca di rappresentarla attraverso una cultura diversa. L’ambientazione è la sua più grande potenzialità grazie alla rappresentazione di una figura della religione ebraica come demone, ignoto al grande schermo. L’idea di fondo è diversa da altri horror religiosi e la sua novità risiede anche nelle relazioni tra i personaggi appartenenti all’ebraismo ortodosso, escamotage che consente di mantenere le questioni morali al centro della storia.
Ma condire la trama con un po’ di tradizione ebrea e conversazioni yiddish non è sufficiente. Per quanto interessante questo cambio di scenario viene esplorato in modo superficiale, con l’uso di una quantità innumerevole di cliché sia nei personaggi che nelle situazioni paranormali.
L’approccio ai personaggi rimane piatto e in nessun momento si crea un legame emotivo tra gli attori. È allora che il suo valore drammatico comincia a decadere, lasciando soltanto alla trama il compito di sostenere la pellicola.
The Offering fa affidamento (quasi esclusivamente) all’utilizzo del jumpscare per spaventare lo spettatore, mediante improvvisi cambi di immagine e variazioni degli effetti sonori. Per generare vera paura deve essere creata una glassa di atmosfera e suspense. Ricorrendo al jumpscare si genera uno spavento momentaneo, senza che la tensione mantenga una linea costante.
Tuttavia la chiusura dell’opera sembra molto riuscita e osa proporre un finale coerente e inaspettato. Anche la fotografia risulta un gran punto di forza: i toni grigi e freddi riescono a dare consistenza all’ambientazione.
The Offering, al cinema dal 23 febbraio, è una proposta sulla carta ambiziosa che, purtroppo, non riesce ad attuare nulla di nuovo né originale. Il suo scopo principe è spaventare il pubblico, senza dimostrare consistenza nel raccontare una storia. La trama appare appannata e l’unica costante è la ricerca di uno spavento episodico, ottenuto con espedienti sin troppo “facili”.