Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno recensione film di Christopher McQuarrie con Tom Cruise, Hayley Atwell, Ving Rhames, Simon Pegg, Rebecca Ferguson, Vanessa Kirby, Esai Morales e Pom Klementieff
La comunità dei cinefili raramente apprezza appieno un film d’azione concepito per il grande pubblico. Anche nei casi eccezionali in cui ciò accade, di solito si tratta di lungometraggi che apparentemente si inseriscono nel mondo della “commercialità a tutti i costi”, ma in realtà contengono elementi di autorialità inseriti all’interno di un prodotto rivolto alla massa (vedi James Gunn con Guardiani della Galassia).
Questa volta, invece, con Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno, ci troviamo di fronte a ciò che potremmo definire senza particolari giri di parole come “il blockbuster” per eccellenza.
Il problema, in questo caso, è che appare davvero complicato disinnescare, anche per i sopracitati spocchiosi cinefili, la potenza cinematografica di questo tripudio audiovisivo, che onora nuovamente i presupposti editoriali e filmici della saga resa immortale dal suo protagonista.
In realtà, definire Tom Cruise come il protagonista di Mission: Impossible, risulta a dir poco riduttivo. Tom Cruise è Ethan Hunt. Ethan Hunt è Tom Cruise.
Quando ci troviamo inondati di notizie e video che mostrano le eroiche gesta dell’attore statunitense, abituato a fare a meno degli stunt, non stiamo semplicemente assistendo alla dimostrazione del coraggio dell’attore, ma stiamo vivendo l’apoteosi dell’interpretazione attraverso l’immedesimazione totale nel personaggio (i cinefili parlerebbero del metodo Stanislavskij o, ancora meglio, del celebre method acting).
Non è Cruise ad entrare nel personaggio di Ethan, ma è il personaggio di Ethan ad adeguarsi all’immagine cinematografica di uno degli attori più iconici della storia del cinema.
Aggiungendo alla piacevole equazione la pregevole fattura delle singole componenti di questo settimo capitolo, otteniamo banalmente un eccellente film d’azione, al quale si possono muovere davvero poche critiche (se non per qualche sporadica sequenza fin troppo ottimista per la sorte dei protagonisti, incredibilmente fortunati).
Anche i temi trattati, pur all’interno di una dialettica cinematografica semplificata, necessaria alla distribuzione su vasta scala, riescono persino ad accennare una feconda riflessione sull’attualità, sui rischi dell’epoca della digitalizzazione e sulla riproducibilità della natura umana da parte dell’intelligenza artificiale.
Infatti, stavolta, il vero e proprio nemico di Hunt non sarà la consueta organizzazione russa di turno, ma un’entità immateriale, capace di generare sequenze sorprendentemente attuali e ben contestualizzate.
La domanda a questo punto è… Cosa dona realmente dignità ad un’opera?
Il rifarsi ottusamente alla supposta nobiltà di caratteristiche e temi comuni a ciò che viene reputato “alto”, oppure il raggiungimento di uno scopo prefissato, che in questo caso coincide con il puro intrattenimento di massa?
Se in cuor vostro avete optato per la seconda risposta, allora amerete questo film, o, quantomeno, non potrete far altro che riconoscergli la capacità di aver raggiunto il suo scopo, che sia nobile o meno.