Te l’avevo detto recensione film di Ginevra Elkann con Valeria Bruni Tedeschi, Alba Rohrwacher, Valeria Golino, Greta Scacchi e Riccardo Scamarcio [RoFF18]
Distopia, distopia e ancora distopia. La Festa del Cinema di Roma, quest’anno, sembra quasi divenire un raccoglitore per lungometraggi dedicati a questo genere cinematografico, ma la verità è che l’umanità ha paura e gli autori della settima arte non fanno eccezione.
Te l’avevo detto, di Ginevra Elkann, è ambientato in una Roma inquietantemente simile a quella che si inizia a prospettare per il nostro futuro: sempre più caldo e meno rassicurante.
Il film si svolge durante un atipico periodo natalizio, contraddistinto da temperature estive; una situazione non molto diversa da quanto sta accadendo attualmente nella Città eterna, dove stiamo vivendo la fine di ottobre indossando ancora le maniche corte.
L’ennesimo prodotto audiovisivo distopico della kermesse romana si dipana in tre storyline, tentando di concepire un racconto audiovisivo eterogeneo, nel quale ogni episodio riesca a nutrire con sapori diversi l’emotività dello spettatore.
Il risultato, come spesso accade in questo genere di operazioni, è soltanto parzialmente raggiunto, poiché l’aspirazione a mantenere la stessa qualità e l’energia in ogni episodio risulta estremamente arduo.
In Te l’avevo detto, difatti, vi sono episodi più e meno ispirati, anche se, a onor del vero, occorre evidenziare l’assenza di clamorose cadute di stile, che ne decreterebbero il totale fallimento.
Il nucleo del film è, ovviamente, la vicenda costruita intorno alle figure interpretate da Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi e, per fortuna, si tratta anche dell’elemento narrativo più ispirato della pellicola.
Accanto alla trama principale, ve ne sono altre due che si intrecciano che non fanno gridare allo scandalo, ma neanche al miracolo. A differenza del nucleo narrativo del film, le due costole soffrono di una certa prevedibilità, che ci ha fatto venire un dubbio: quanto avrebbe guadagnato il lungometraggio se spogliato delle due vicende parallele?
Una domanda a cui è difficile dare una risposta certa ma che, probabilmente, avremmo preferito non farci durante la proiezione.
Famiglie sgangherate, esistenze distorte segnate da cicatrici emotive profonde e ancora sanguinanti, in una pellicola che scorre percorsa da una piacevole e perpetua espressione tragicomica.
Il tocco finale? Un’ambientazione distopica finalmente credibile, ottenuta grazie al costante utilizzo della nebbia e di una fotografia coraggiosa – forse fin troppo in certe occasioni – ma comunque capace di ottenere quella forte sensazione di oppressione climatica.