La Favorita del Re recensione serie tv di Josée Dayan con Isabelle Adjani, Hugo Becker, Gaia Girace, Gerard Depardieu, Samuel Labarthe e Virginie Ledoyen [SKY]
Francia, XVI secolo. La dinastia dei Valois regna su una nazione sconquassata dalle faide religiose. Il Protestantesimo e, soprattutto, il credo Ugonotto dilagano facendo tremare le fondamenta di un paese saldamente ancorato alla tradizione cattolica.
Tra queste pagine di storia si colloca la vicenda di Diana di Poiters, donna ambiziosa e affamata di potere, amante e, per l’appunto, “favorita” di Enrico II.
La prima parte della serie vede la protagonista, nobildonna intraprendente e temeraria, decisa a farsi largo nell’ostile corte francese. Nella seconda la troviamo afflitta e vinta dal destino, nonché raggiunta da quella morte dalla quale tanto aveva cercato di fuggire.
La favorita del Re, disponibile su SKY e NOW, è diretta da Josèe Dayan (I miserabili, Il Conte di Montecristo) e interpretata da Isabelle Adjani e Hugo Becker. Il cast include Gerard Depardieu, Gaia Girace, Samuel Labarthe e Virginie Ledoyen.
La miniserie porta avanti temi come la guerra di religione e il rapporto col destino. I tentativi di screditare Diana con accuse di stregoneria rivelano l’interesse politico dietro al fanatismo religioso, mentre le predizioni dell’indovino Nostradamus portano Diana a seguire l’archetipo Shakespeariano del personaggio che sfida il destino per poi soccombervi.
Altro argomento centrale è quello dello scorrere del tempo, a cui Diana cerca disperatamente di sottrarsi, preoccupata per la perdita della sua fisicità. Anche questo desiderio si rivelerà vano.
Fin dalle prime inquadrature la serie sfoggia il suo cavallo di battaglia: l’ambientazione. Le chiome degli alberi lasciano filtrare i raggi solari creando scene en plein air suggestive e gli interni sono sufficientemente curati da far immergere lo spettatore nella Francia Rinascimentale.
Tuttavia, al netto di una fotografia che riesce a valorizzare la bellezza dei luoghi ripresi e di costumi che probabilmente soddisferanno gli appassionati di storia, il lato tecnico soffre di gravi problemi nella messa in scena.
Tra un’inquadratura e l’altra ci sono incongruenze tanto evidenti da saltare all’occhio già ad una prima visione. Il tutto messo insieme da un montaggio poco fluido e da una regia molto “documentaristica” che sacrifica la parte narrativa del prodotto.
L’opera in questione non possiede la valenza didattica di un documentario e non regge il confronto con gli esempi di buona narrativa in costume presenti sul mercato, dai quali non riesce a smarcarsi né per originalità, né per profondità dei temi affrontati.