Maria recensione film di Pablo Larraín con Angelina Jolie, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Haluk Bilginer, Kodi Smit-McPhee e Valeria Golino
Presentato in concorso al Festival del Cinema di Venezia 2024, Maria è l’ultima fatica del regista cileno Pablo Larraín, il quale lo scorso anno, sempre alla kermesse veneziana, aveva presentato il film El Conde ispirato alla biografia di Pinochet.
Continua dunque il lavoro di Larraín sul racconto dei grandi personaggi che hanno segnato la storia dell’umanità. Questa volta ad essere sotto la lente d’ingrandimento del regista cileno é Maria Callas, indiscussa e indimenticata dea della musica lirica mondiale.
Focus della pellicola sono gli ultimi giorni di vita della Divina: ormai malata e dipendente dall’uso di farmaci che la rendono vittima di visioni e deliri psicotici, Maria si trova a fare un resoconto della propria vita attraverso il ricordo di spettri del passato, grandi amori e i dolori che hanno segnato la sua storia personale. A rendere omaggio alla sua figura troviamo la grande diva di Hollywood Angelina Jolie, che si cimenta in un ruolo estremamente complesso e dalle infinite sfumature emotive e psicologiche.
Larraín decide scientemente di mostrare un volto inedito della Callas che non è mai stato indagato, ponendo in primo piano Maria, la ragazza che dalla Grecia ha toccato le vette del successo e della fama diventando un’icona internazionale.
La pellicola si apre nel giorno della morte della Callas, il 16 settembre 1997, quando i suoi fedeli Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e Bruna (Alice Rohrwacher), rispettivamente il maggiordomo e la domestica che l’hanno affiancata con amore e dedizione per gran parte della sua vita, la trovano esanime nella sua abitazione parigina. Da lì la narrazione procede attraverso continui flashback e rimandi a episodi del passato che sono stati determinanti all’interno della vita della diva musicale come l’incontro con il magnate Aristotele Onassis e il loro rapporto contrastato, i successi nei teatri più prestigiosi di tutto il mondo nonchè le vicende drammatiche che hanno segnato la sua infanzia in Grecia.
L’opera non perde però mai di vista lo scopo principale, ovvero quello di raccontare l’ultima piccola porzione, tragica e dolorosa, della vita della Callas (cosa che Larraín aveva già fatto con il suo film Spencer), fornendo però allo spettatore sufficienti elementi per contestualizzare dialoghi e contenuti esistenziali del film che altrimenti non potrebbero essere leggibili ne condivisibili a livello emozionale.
L’impianto narrativo è sostenuto da una fotografia impeccabile che fa uso di primissimi piani e lente carrellate panoramiche che favoriscono l’inclusione dello spettatore all’interno nella scena focalizzando l’attenzione sull’estremo senso di solitudine e impotenza che ha afflitto la Callas durante l’ultimo periodo della sua vita, quando ormai anche la sua voce divina l’aveva abbandonata lasciandola sola con i ricordi di una gloria passata.
È così che entriamo a contatto con l’aspetto più intimo e privato della Divina, messo magistralmente in scena dalla Jolie, la quale dimostra una grande aderenza al personaggio mettendone in luce fragilità e insicurezze nonostante l’evidente distanza estetica con la Callas, piccola pecca a sfavore.