Parthenope recensione film di Paolo Sorrentino con Celeste Dalla Porta, Gary Oldman, Silvio Orlando, Stefania Sandrelli, Luisa Ranieri e Peppe Lanzetta
Sostiene Sorrentino di averla conosciuta in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Parthenope sfavillava.
Uno dei meravigliosi incipit di Antonio Tabucchi si intreccia perfettamente con il lirismo dell’ultimo film di Paolo Sorrentino ma non si tratta solo di una boutade suggerita dall’esergo proveniente dalla miniera di Céline.
“Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto”
Louis-Ferdinand Celine
Parthenope è il diapason che Sorrentino utilizza per trovare la frequenza narrativa di Napoli. E lo percuote tante volte alla ricerca di quel suono puro, privo di frequenze armoniche, che tutti hanno sentito almeno una volta nella vita ma avrebbero difficoltà a descrivere soltanto con le parole.
Qui le possibilità sono maggiori grazie alle immagini, ai movimenti di macchina e ai meravigliosi volti degli interpreti del film, tutti uniti nella ricerca del mistero dietro il miracolo.
E’ qui che rientra in gioco Tabucchi, sempre in Sostiene Pereira. Il suo protagonista, in preda ad un’angoscia esistenziale, viene informato dal suo medico, il dottor Cardoso, dell’esistenza della confederazione di anime, un principio secondo cui l’essere umano non possiede una sola anima – come sostiene l’antico retaggio della tradizione cristiana – ma un’intera confederazione capeggiate da un io egemone, ovvero un’anima più forte delle altre, che solitamente identifichiamo con la nostra personalità.
Tuttavia può capitare, e spesso capita, che in seguito a un periodo più o meno lungo di riflessione – suscitato da un evento scatenante, o anche solo da una “corrosione” lenta e costante dell’io egemone – l’individuo si ritrovi ad avere pensieri del tutto nuovi che segnalano il passaggio di testimone da un’anima all’altra. Si diventa, insomma, quello che in qualche modo si è sempre stati, come ricorda anche la canzone di Cocciante che risuona in diversi momenti del film.
“Era già tutto previsto
fino al punto che sapevo
che oggi tu mi avresti detto
quelle cose che mi dici”
Riccardo Cocciante – Era già tutto previsto
Parthenope è una lunga sequenza di questi passaggi di testimone, spesso apparentemente slegati, ma uniti dalla vocazione ecumenica di Napoli, che nel suo ventre accoglie tutto e tutti, protetta dal mare e dalle sue onde. La poetica di Sorrentino considera la trama una zavorra e si concentra sulle vibrazioni della sua dea, in quel luogo dove tutto è concesso. Un luogo in cui non bisogna semplicemente guardare, ma vedere, come farebbe un buon antropologo parafrasando Thoreau.
Guardando il film, sembra di assistere inizialmente ad una sessione di kintsugi: cocci di elevata fattura, puntellati da frasi ad effetto e rimessi insieme da un comparto visivo scintillante. Ma, se si accetta di vedere una città incarnarsi nella Parthenope di Celeste Dalla Porta, Silvio Orlando e Peppe Lanzetta si può scorgere tutto il resto: l’oro di Napoli, inafferrabile per chi non ha mai colto la musicalità partenopea al di fuori dello stereotipo.
Un tesoro che si può vedere ma non si può toccare per il rischio, o meglio la certezza, di vedersi inflitta una maledizione: una nostalgia eterna e malinconica, fatta di sole, acqua salata e un carrozzone blu come il mare su cui c’è invece l’illusione che ci sia posto per tutti. Ma, quello spazio, sarà sempre riservato soltanto ai dannati.