Iddu - L'ultimo padrino

Iddu – L’ultimo padrino recensione film con Toni Servillo e Elio Germano

La storia del boss mafioso Matteo Messina Denaro

Iddu – L’ultimo padrino recensione film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza con Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra e Barbora Bobuľová

di Chiara Calcara

Iddu - L'ultimo padrino (Credits: PARLATOG)
Iddu – L’ultimo padrino (Credits: PARLATOG)

Iddu – L’ultimo padrino, presentato alla Biennale di Venezia, racconta la storia del famigerato latitante castelvetranese Matteo Messina Denaro (interpretato da Elio Germano) e del personaggio fittizio Catello Palumbo (Toni Servillo).

L’ex preside Catello viene ingaggiato dai servizi segreti per instaurare una corrispondenza epistolare con il suo figlioccio, il latitante Messina Denaro, mentre quest’ultimo è nascosto a casa di Lucia Russo. Il loro rapporto si interromperà quando, al momento dell’incontro, Catello sviene per la paura, rivelando così al boss la trappola.

Iddu era un film carico di grandi aspettative, maturate sin dall’anno scorso, quando il boss mafioso era stato catturato e poi deceduto. Tuttavia, la reazione del pubblico è stata molto tiepida. Ha sorpreso la scelta di raccontare una storia fittizia e ambientarla in un paese che non è quello del boss, sebbene il film includa dettagli tanto insignificanti quanto accurati che permettono di comprendere meglio la personalità del “Pupo”, il boss mafioso.

Si tratta di film che non intende raccontare la realtà punto per punto, ma nonostante questo si perde nell’ indecisione. Al termine ci si chiede: qual era la vera storia? Quella dei servizi corrotti che hanno lavorato al fine di non fare catturare il latitante più famigerato della mafia moderna? Oppure la storia di un personaggio complesso, un capomafia, figlio di un capomafia, alle prese con le conseguenze delle sue azioni?

Non è certamente un film di denuncia e iperbuonista, caratteristiche che avrebbero ridotto la portata artistica dell’opera rendendola scontata e didascalica. Il personaggio di Matteo Messina Denaro è ovviamente negativo, ma il regista, supportato da una eccelsa interpretazione di Elio Germano, cerca di scandagliare anima, pensieri e ossessioni del criminale, , ricorrendo a numerose scene oniriche.

La regia di Iddu è guidata da simboli ricorrenti: il ponte di ferro, il pupo – l’efebo di Castelvetrano – e l’agnello innocente; tutti elementi che fanno convergere la storia di Matteo.

Ora il boss vive “come un topo” nascosto dalla luce, in case scure, con le tapparelle chiuse, claustrofobiche e prive d’aria; ma i ricordi del passato non sembrano differire: gli anni ’80 cotonati, pomposi e oppressivi e l’unico respiro lo si trova nelle rese dei conti e negli omicidi che Matteo affronta con un sorriso. Non c’è via di scampo.

Una storia estremamente interessante, che fin dalla prima scena – con gli occhi stupiti di un capretto – sembra promettere un film da ricordare. La colonna sonora è gestita magistralmente da Colapesce, la regia utilizza sapientemente grandangoli e luci, e Germano stupisce ancora una volta per la sua precisione e i molteplici livelli di lettura di interpretazione nelle sue espressioni e gesti. Tuttavia, un prodotto affascinante è appesantito da lunghi dialoghi che, nel tentativo di essere criptici, risultano vuoti e ridondanti.

Inoltre la storia del finto Palumbo, con un’interpretazione discreta di Servillo, purtroppo non si allinea con il registro della parte di Messina Denaro, interrompe il ritmo e annoia. Questo deficit è aggravato da attori non all’altezza, la cui inesperienza risalta e compromette la godibilità del film: tra tutti l’Ispettrice Mancuso (Daniela Marra).

Iddu dà l’impressione di una vena artistica soffocata, di mancanza di coraggio o di timore nell’affrontare una storia così reale e scottante. Avrebbe regalato un film unico nel suo genere, un interessante esperimento che invece lascia lo spettatore con la sensazione di una storia incompiuta. Sarebbe bastato scegliere quale storia raccontare, escludendo del tutto la parte di Catullo e dei servizi segreti.

Le scene, insieme alla forza evocativa dell’interpretazione di Germano e alla regia, resteranno a lungo nel cuore dello spettatore.

 

Sintesi

Iddu si perde cercando di combinare una storia vera con una fittizia, una regia e una recitazione virtuosistica con una parte annoiata e spenta. Un film bellissimo a metà: un esperimento non riuscito.

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