Intervista a Vincenzo Bocciarelli, attore teatrale e cinematografico, da poco divenuto anche direttore dei Teatri di Siena.
Vincenzo Bocciarelli fa un excursus sulla carriera artistica, anche tramite un resoconto dello stato di salute dell’industria culturale artistica. La nostra intervista.
Visto che lei ora è il direttore dei Teatri di Siena, come si è sentito quando ha saputo della nomina? Qual è stata la sua prima sensazione?
Una sensazione molto bella, anche perché è una nomina che mi permette di essere utile, in un certo senso, alla cultura e al teatro, che sono stati la mia prima e grande passione, il grande amore della mia vita. Sono sul palcoscenico da molti anni e posso dire di aver trascorso più tempo in teatro e sul palcoscenico che nella vita quotidiana, per strada, nel mondo “normale”. È stata davvero una vita dedicata al teatro, alla televisione e al cinema. Perciò, è una sensazione molto gratificante e penso di essermi meritato questo incarico: mi sono sempre impegnato molto, ho sempre cercato di fare scelte di qualità, di ricerca, di approfondimento, a volte anche coraggiose e rischiose, lontane dai riflettori più semplici, quelli che ti portano al successo immediato e nazional-popolare. Questa nomina è la prova che, a lungo andare, se si persevera e si crede in un obiettivo, le cose prima o poi arrivano.
Devo ringraziare soprattutto la sindaca, professoressa Nicoletta Fabio, che ha avuto la fiducia di chiamarmi a ricoprire questo incarico. Non la conoscevo personalmente, ma lei ha avuto l’intuizione e, in un certo senso, la lungimiranza di affidarmi questo ruolo. Ora, dopo nove mesi, i fatti dimostrano che ci aveva visto giusto — non perché io sia più bravo degli altri, ma perché mi impegno molto, credo nel rigore, nella disciplina e nella concretezza delle cose. Prima delle parole ci sono i fatti.
Certo, continuo sempre a mettermi in discussione; ascolto con umiltà i consigli degli altri e del pubblico. La mia missione e il mio obiettivo sono anche quelli di sfatare una frase che ormai sento ripetere da anni, come un disco rotto: “Non ci sono soldi, il teatro è in crisi, il cinema è in crisi, il mondo dello spettacolo è in crisi.” No, è in crisi l’essere umano, perché ha perso il contatto con l’assoluto, con Dioniso, con il sacro. L’arte teatrale è sacra, nasce, come nel teatro della Grecia antica, come un dialogo tra l’uomo e il divino. Attraverso questo dialogo emergono tutte le problematiche e i lati oscuri dell’essere umano, che devono essere rischiarati, rivelati e messi in luce, per poter essere — perché no — risolti. Io ho sempre creduto profondamente in questo potere catartico del teatro, che considero una vera cura per l’anima.
Donare è vivere, tenere per sé è morire. Quale miglior donatore, quale figura più generosa dell’attore, che ogni sera si offre al pubblico con fatica, sacrificio e sudore, mettendo a nudo la propria anima? È un dono, un atto di incredibile generosità, ed è proprio in questo che credo. Sono felice di avere questo incarico, perché posso mettere in pratica questo pensiero, questo modo di operare e di vivere in cui ho sempre creduto.
Notando che poco fa ha menzionato sia il teatro sia il cinema italiano, come reputa lo stato di salute dell’industria culturale al giorno d’oggi? Nonostante un breve momento positivo, indicativamente tra gennaio e marzo scorso, la situazione sembra essere tornata alla normalità.
Lo show business ha bisogno di regole, di punti fermi, e non basta dire che servono soldi. Recentemente sono stato protagonista di un film. Si tratta di The Big Mother, un’opera prima di Antonello Altamura. È una storia che, finché non ho visto il film completato — con montaggio, post-produzione, musiche, e ottimizzazione — mi lasciava un po’ in sospeso. Eppure, devo dire, è un piccolo gioiello, un capolavoro coraggioso che ricorda molto il cinema di Luis Buñuel e ha anche qualcosa di De Chirichiano. Ci sono riferimenti importanti alla storia dell’arte, ed è un film davvero intelligente.
Il problema è che sia il pubblico, sia i fautori di quest’industria devono rieducarsi alla bellezza come risultato di elementi che insieme conducono al successo di un’opera, sia essa teatro, opera lirica, danza o cinema. Le grandi produzioni internazionali spesso ce lo ricordano. Non parlo solo delle produzioni milionarie — a volte si può realizzare un film di scarsa qualità anche con tanti soldi; non è detto.
È fondamentale affidarsi a professionisti bravi, ispirati, sensibili, attenti e intelligenti. È un po’ come affidarsi a uno chef per realizzare un piatto perfetto, prelibato. Spesso paragono il comporre una stagione teatrale o l’assemblare il cast di un film al lavoro di uno chef, soprattutto oggi che la cucina è tanto di moda, in televisione e altrove, e si parla molto del rapporto degli esseri umani con il cibo. Poiché siamo ciò di cui ci nutriamo, anche un buon film o un bello spettacolo possono essere paragonati a un’ottima ricetta: si tratta di mettere insieme gli elementi con intelligenza.
Dopo questi nove mesi di esperienza come direttore di teatro di Siena, ho capito quanto sia grande la responsabilità di questo ruolo e quanto sia importante avere la capacità di orientare verso una scelta stilistica per chi è a capo. Con la giusta combinazione di elementi, è possibile ottenere successo e portare il pubblico nelle sale, riempiendole
Siamo già al terzo spettacolo, quasi al quarto, e molti di questi stanno già andando quasi tutti in sold out. Questo per me è una grande gioia e soddisfazione, perché significa nutrire il teatro con la sua stessa forza. È troppo facile puntare su grandi nomi che attraggono pubblico, ma con testi inadeguati o poco coerenti. Credo che la giusta alchimia sia unire l’istrione, la figura del protagonista o capo comico amato dal pubblico, con testi che abbiano un certo gusto, eleganza e significato. È giusto che il pubblico possa vedere i propri beniamini sul palcoscenico, pagando un biglietto per vedere un attore o un’attrice che ama, ma è altrettanto importante offrire testi che conservino un certo gusto, una certa eleganza.
Questo vale anche per il cinema. Basta fermarsi fuori dalle sale e ascoltare quello che dice il pubblico. Io cerco di farlo continuamente: ascolto i commenti, le opinioni, i pareri e traggo ispirazione da questa vox populi, per capire quale direzione stiamo prendendo e verso quale trasformazione stiamo andando, perché siamo sempre in continua trasformazione.
Quindi, forse il problema è una critica ormai troppo giudicante e poco orientata al servizio del pubblico? Lei cosa ne pensa?
No, il problema non è la critica, ma i tavoli decisionali e le produzioni.
Spesso, purtroppo, l’elemento che ostacola e compromette il raggiungimento di un giusto equilibrio è la politica, intesa come una politica che non va a beneficio della polis, della comunità, del popolo, ma piuttosto come un meccanismo che sfrutta problematiche, difficoltà e incertezze per fini egoistici, tentando di portare acqua al proprio mulino. Oggi il pubblico è molto intelligente e sa riconoscere queste dinamiche, che finiscono per creare solo confusione e rallentano l’exploit di situazioni potenzialmente di grande successo e impatto. In Italia abbiamo tutte le risorse per riuscirci: grandi maestranze, registi brillanti e illuminati, attori straordinari. La mia più grande gioia è vedere questi veri artigiani del teatro, che sera dopo sera, città dopo città, tournée dopo tournée, si offrono al pubblico con generosità. Sono spesso attori che non li vediamo spesso in televisione o tanto meno al cinema, quindi voglio dire, questo è un po’ un problema.
A proposito degli attori, lei ha lavorato anche con attori di fama internazionale come Franco Nero, Max Von Sydow e John Savage. Vorrei sapere com’è stato stato il suo rapporto con loro e se ha avuto occasione di apprendere qualcosa anche al di fuori del set.
Ho constatato che, durante le prove, spesso si conferma una verità: le persone più grandi sono quelle più umili, disponibili e generose. Ricordo, ad esempio, durante le prove con Irene Papas e Giorgio Albertazzi, come Irene si impegnasse a spiegarmi il ruolo del messaggero e a lavorare su dettagli che, ora che sono un po’ più grande, cerco di fare con i più giovani. È una generosità che si tramanda, un dovere. Se vedo un giovane con cui sto recitando in scena che ha delle difficoltà o su cui nessuno ha lavorato su certe cose, credo sia giusto donare queste conoscenze. Una volta si pensava che più eri bravo e più l’altro doveva essere meno capace, ma oggi non è più così: se qualcuno commette un errore, la scena ne risente.
Adesso vorrei chiederle se ha mai avuto intenzione di passare dalla recitazione alla regia?
Io ho fatto regie in passato, non a cinema, ho curato la regia di un docufilm che era Il profumo del cuore d’oro, una decina di anni fa.
Quindi, in un lungometraggio di finzione, è possibile?
In teatro sì, mi piacerebbe fare una regia.
Quindi più teatrale che cinematografica?
Sicuramente. Forse, ma non è sicuro, potrei curare la regia dello spettacolo a sorpresa che è nel cartellone 2024-2025. Dopo il grande successo della stagione stile Sboccia l’estate, che ha visto anche Russell Crowe, arriva la stagione Sipario Rosso e Sipario Blu, che dà grande spazio alla lirica e propone sogni per i bambini.