Il corpo recensione film di Vincenzo Alfieri con Giuseppe Battiston, Claudia Gerini e Andrea Di Luigi [Anteprima]
Il film spagnolo El cuerpo di Oriol Paulo ha avuto successo, se non particolarmente di pubblico, a livello produttivo, dando vita a quattro remake: due indiani, uno coreano e Il corpo diretto da Vincenzo Alfieri, a cui si aggiungerà il remake statunitense di Isaac Ezban.
La premessa è, effettivamente molto forte, degna di un romanzo di Agatha Christie o di Stephen King: il corpo di una donna è stato rubato dall’obitorio in cui era conservato.
Questo evento porta a un focus progressivo sul nome della donna, Rebecca Zuin (Claudia Gerini), sulla sua storia e sulla sua morte. Quella che poteva passare per una morte accidentale, in quanto avvenuta per un arresto cardiaco, desta nuovo interesse da parte dell’Ispettore Cosse (Giuseppe Battiston).
Tuttavia la curiosità progressiva per questo corpo, nel prodotto italiano, ha effetti solo talvolta efficaci. Il film si apre con la donna, in vita, il giorno del suo matrimonio. I flashback sono molti, spesso utili perché riescono a seminare degli indizi, come i più classici dei gialli, che saranno fondamentali per il colpo di scena finale. Tuttavia l’introduzione così precoce, rende l’idea iniziale del soggetto meno efficace, meno sconvolgente, perché capiamo subito che il corpo che manca è proprio quello della protagonista assente: Rebecca.
Man mano, però, i flashback riescono non solo a intersecarsi bene con la storia, ma a diventare parte della storia, soprattutto nelle parti horror del film in cui, anche scenograficamente, la realtà si apre al passato donando parallelismi e connessioni facilmente trasparenti, che tradiscono una regia originale e coraggiosa, come si è rivelata quella di Vincenzo Alfieri (famoso per aver diretto un altro noir, Uomini d’oro). Purtroppo sono troppi pochi gli esempi di questa bravura. Per il resto del lungometraggio mantiene una regia molto pulita, che ha il pregio di non sovraccaricare un film con buoni elementi: struttura della sceneggiatura forte e setting interessante.
Infatti la parte principale del film si svolge tutta in una notte e in uno stesso ambiente: il pauroso, grande e malandato obitorio della città.
Sembra che ci troviamo all’interno del set di un escape room o di un videogioco alla Silent Hill o Call of Cthulhu in cui gli oggetti come la fiala, il telefono, il cartellino con il nome sembrano elementi da conservare nell’inventario. In questo modo l’enigma si dispiega attraverso la scoperta degli indizi.
L’attrattiva indubbia di trama e scrittura, è supportata da un’interpretazione di Battiston che alleggerisce la pesantezza del giallo, creando un piacevole contrasto, che si nutre delle battute di spirito, ma viene approfondita da un suo lato più oscuro: un problema di rabbia che vedremo che da un elemento quasi stereotipato affidato alla figura dell’investigatore, ma che conterrà la spiegazione dell’intero film all’interno di un colpo di scena finale inaspettato.
L’interpretazione del marito Bruno Forlan (Andrea Di Luigi) è uno degli elementi più deboli del film e non è aiutato dal suo personaggio che ci viene presentato immediatamente come negativo e omicida: un personaggio piatto e con poco attrattiva. Mentre nella moglie defunta sono racchiuse altre donne del cinema giallo: Amy Dunne, di Gone girl, richiamata pure dalla celebre inquadratura iniziale, e Rebecca la prima moglie, di cui il personaggio riprende anche il nome, ritorna come un personaggio fantasmatico che ossessiona.
L’ambientazione oscura, rappresenta qualcosa che la parte inconscia di Bruno Forlan non ha perfettamente chiaro: perché ha ucciso la moglie? La risposta sta nel contrasto con la luce della spiaggia finale, che rivela il corpo violaceo della moglie morta esposta all’ambiente esterno. Ad ucciderla è stato il suo stesso senso di colpa.