Il paese del melodramma recensione film di Francesco Barilli con Luca Magri, Luc Merenda, Eugenio Maria Degiacomi e Francesco Barilli [Amazon Prime Video]
Francesco Barilli è uno che della paura se ne intende: basti pensare al suo ruolo di regista de Il profumo della signora in nero, con protagonista Mimsy Farmer, attrice statunitense molto attiva nel panorama cinematografico italiano.
Vederlo nuovamente confrontarsi con l’orrore fa piacere, anche in relazione ad una industria poco incline alla produzione e distribuzione per quanto riguarda il cinema di genere.
I tempi, purtroppo (o per fortuna) cambiano, e le dinamiche messe in gioco non possono essere identiche a quelle degli anni ’70 e’80. Il mercato si è evoluto, richiedendo nuove visioni del mondo e ulteriori coordinate, affinché l’effetto nostalgia non prenda pieno potere.
A pensarci bene, tutto questo fenomeno è nato solo di recente: al posto di ricreare momenti cult di cinema del passato da condividere sui social, siamo passati a un livello successivo, un punto di non ritorno. Ora si tratta di scenette da mettere alla mercé dei creatori di contenuti, accompagnate da musiche virali.
Quello che conta oggi non è tanto far ricordare a qualche fan nostalgico una sequenza iconica attraverso una diversa prospettiva, ma rendere il film un prodotto utile unicamente per delle brevi clip su tik-tok.
Più clip si riescono a creare, maggiore è la possibilità di rendere popolare quel determinato lungometraggio.
Questo, inevitabilmente, porta film come Il paese del melodramma ad esser considerati vecchi (e stantii), poiché, per loro natura, non offrono momenti adatti a essere inseriti in una potenziale storia su Instagram.
Ma cosa c’entrano i social media, Il paese del melodramma e il genere horror, se messi in relazione? Molto, perché il cinema horror, per esistere, ha bisogno di un pubblico. Da qui una considerazione semplice, quasi banale: i migliori film di questo genere hanno funzionato proprio perché hanno saputo coinvolgere, prima di tutto, i giovani. Non si tratta di un elemento sempre funzionale o che si adattava a tutte le opere, ma se ad oggi ci ricordiamo di Halloween, Nightmare, Venerdì 13 e via dicendo, un motivo ci sarà.
Recentemente abbiamo avuto la prova definitiva: tra i maggiori incassi al botteghino in Italia troviamo Terrifier 3, Longlegs e The Substance (senza dimenticare Smile 2, anch’esso un buon successo a livello economico). Si tratta di film horror creati appositamente per conquistare un pubblico giovane. Per una volta, questo non è un elemento negativo, perché integrati con le dinamiche del presente.
Il paese del melodramma invece, che pur risente di alcuni difetti come una scrittura sconnessa rispetto al racconto per immagini, un montaggio squilibrato e diverse interpretazioni poco convincenti, fatta eccezione del sempre bravo Luc Merenda nei panni de La Morte, non riesce mai a confrontarsi apertamente con l’attualità, risultando nato vecchio e alla disperata ricerca di spaventare il pubblico con i soli movimenti di macchina, quasi come se avesse paura a ricorrere all’utilizzo di effetti visivi.
Nonostante non riesca a uscire dal seminato, bisogna riconoscergli il merito di voler tornare a un’ossessione primordiale (nota di pregio massima), che ha caratterizzato gran parte del cinema di genere italiano: storie inquietanti al punto giusto e un’efficace efferatezza nelle scene più cruente.
Il film di Barilli si inserisce in un contesto che per anni ha goduto di grande fama, soprattutto sul mercato estero. Tuttavia, come detto in apertura, i tempi sono cambiati e, per inquietare servono sanche gli effetti speciali, sia estetici che pratici (come si usa dire oggi).
Un cantate lirico interpretato da Luca Magri cerca l’ultima nota prima di chiudere il sipario, mentre deve fare i conti con la morte e il suo difficile presente. Il cinema di Francesco Barilli, autore di un buon documentario come Poltrone rosse – Parma e il cinema, almeno in questa occasione ha smesso di comporre bellezza già in partenza.
Il trailer del film: