Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim recensione film di Kenji Kamiyama con le voci di Brian Cox, Gaia Wise, Luke Pasqualino e Miranda Otto
Spesso si sente dire che un film è inutile (anche se, prima bisognerebbe specificare cosa lo renderebbe utile), poco capace di arrivare ad un pubblico e indietro anni luce rispetto al mercato attuale, tal punto da far rimpiangere i vecchi prodotti da cassetta.
Criticare a priori un film, soprattutto se appartiene a un universo narrativo circoscritto (il che porta inevitabilmente a determinate conclusioni) è davvero sempre un bene? Non sarebbe meglio invece cercare un dialogo, un punto di incontro, affinché quel lavoro possa emergere nonostante le sue criticità, a patto che siano presenti.
Quand’è che si è deciso di mettere fine alle sfumature di grigio? Oggi, un film sembra essere o bellissimo o bruttissimo, e quasi sempre si colloca in una di due categorie opposte: di largo consumo o per una ristretta nicchia di spettatori. Le eccezioni, e le modalità di “fruizione” ad esse associate, non mancano.
Ma quando un film, com’è il caso di Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim (per la regia di Kenji Kamiyama e in uscita dal primo gennaio grazie a Warner Bros.) è di un livello così scadente, fa sorgere in modo spontaneo una domanda: perché esiste?
Dopotutto, si potrebbe dire la stessa cosa di qualsiasi prodotto audiovisivo. Alla fine è un fattore di gusti strettamente personali.
Un film, per essere apprezzato o disprezzato, deve offrire un contenuto, ma laddove è esente non si può negare l’evidenza; si farebbe solo un danno al proprio pensiero critico (ammesso e non concesso che si possa parlare di critica in questi termini ai giorni nostri).
Cos’è però che non funziona davvero in questo prologo, in un certo senso capitolo a se stante di Lo Hobbit di Peter Jackson? Come scritto qualche rigo sopra il senso dell’operazione alla base.
Un film come Il Signore degli Anelli – La guerra dei Rohirrim a quale pubblico fa riferimento? Quello generalista? L’appassionato d’animazione più precisamente di anime? Il fan letterario? L’amante delle due trilogie cinematografiche? L’affezionato alla serie televisiva?
Difficile dirlo poiché non accontenta in alcun modo nessuna delle categorie, anzi è un lungometraggio animato che sbeffeggia a più riprese il suo potenziale spettatore, persino andando contro le logiche presenti nel compimento primordiale, firmato da J.R.R. Tolkien.
Un’opera quindi svogliata e senza alcun momento degno di nota, dove si evince una pochezza a livello di contenuti (e di immagini).
Ma, all’effettivo, di cosa vorrebbe parlare l’opera di Kenji Kamiyama? Dell’ennesima lotta tra fazioni distanti, ma in fondo non troppo dissimili? Dell’eterna guerra tra il bene e il male? Di un amore mai sbocciato? Di vendette? Tutti argomenti presenti (sarebbe molto strano aspettarsi tutt’altro, considerato il materiale di partenza) peccato solo che siano l’antipasto per il nulla cosmico. Oltre a tradire in larga parte le aspettative, il prologo di Lo Hobbit riesce a rendere pedante una storia già di per se carica di epicità.
Rimane più di un dubbio comunque: se abbiamo detto che per avere un valore, positivo o negativo, il film deve offrire qualcosa di concreto, perché si dà ampio credito ad operazioni di questa tipologia? Non sarebbe meglio evitare di porsi questi problemi e capire alla radice dove sta l’inganno, così da concentrarsi su prodotti ben più meritevoli d’interesse?
Ma tanto la storia è destinata a ripetersi, perché dagli errori non si impara realmente mai.
Che il circo abbia inizio.
Il trailer italiano del film: